ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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venerdì 19 aprile 2024

Milano Design Week #5, una «Walk of design» a Tortona, ma anche nei distretti di Isola, Certosa e Maciachini

È uno dei quartieri più amati e frequentati di ogni Fuorisalone dai professionisti del design e della progettazione grazie al suo ricco cartellone di installazioni, tavole rotonde, talks e mostre, che accosta giovani designer emergenti a grandi brand. Tortona, il distretto che parte dalla stazione di Porta Genova e anima i Navigli, non delude le aspettative nemmeno quest’anno con la sua «Walk of design», una passeggiata attraverso luoghi iconici come il Ponte degli artisti, l’antica Fabbrica 14 con la sua distintiva ciminiera, la Torneria Traviganti, l’imponente complesso dell’ex Ansaldo, l’Opificio 31 e la Galvanotecnica Bugatti. Questi spazi di archeologia industriale regalano, infatti, una marcia in più agli eventi promossi per l’edizione 2024 del Fuorisalone, in cartellone fino al 21 aprile, dal «Superdesign Show» a «Tortona Rocks», passando per le iniziative di Base, senza dimenticare «Il giardino dell’Otium», una piccola oasi di pace, ristoro e cura della mente e del corpo, progettata da Nardi, in cui prendersi del tempo per sé a contatto con la natura, per, poi, proseguire la propria passeggiata nel distretto alla scoperta di «nuovi orizzonti» che provano a disegnare «il mondo di domani».

Raccontare le ultime tendenze del design anche attraverso le nuove tecnologie, stimolando una riflessione nello spettatore tramite installazioni immersive, è, per esempio, l’idea che sta alla base del «Superdesign Show», l’evento, nato nel 2000, dove si intrecciano mondi virtuali, tecnologie umanizzate, rispetto della natura, materiali rigenerati. Oltre 40 progetti provenienti da 11 nazioni del mondo e realizzati da 80 aziende, in uno spazio labirintico che si tinge di verde brillante, colore che parla di natura e serenità, invitano a pensare differente, immaginando nuovi scenari urbani, domestici e sociali, come suggerisce il tema dell’anno: «Thinking different - everything, everywhere, everyone».

Ad animare il percorso espositivo, che è stato concepito da Gisella Borioli e che si avvale della supervisione di Giulio Cappellini, sono progetti che svelano l’orizzonte asiatico (con una particolare attenzione alla creatività giapponese, vietnamita e thailandese), riflessioni sull’economia circolare, idee progettuali della generazione Z (firmate, in molti casi, dagli allievi dell’Istituto Marangoni e della Jönköping University) e virtual point per immergersi in un universo digitale dove ologrammi, metaverso, avatar e intelligenza artificiale diventano gli assoluti protagonisti.
 
In questa grande agorà, che risponde «Why not?» all’invito a «pensare differente» e a uscire fuori dagli schemi (il riferimento è alla mostra di opere grafiche firmate da Daniele Cima al numero 2 di via Tortona 27), è da non lasciarsi sfuggire una visita a «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab, specializzato nell’acciaio inox, che porta un mini-bosco in una stanza di circa 20 metri quadrati. Ad alto impatto visivo è anche «Time», con due opere avveniristiche e interattive sul tema del tempo e del futuro della mobilità elettrica, ispirate alla concept car Lexus Future Zero-emission Catalyst.

Altra tappa da non perdere è quella con i vetrai del Festival internazionale Designblok di Praga, che mettono in mostra, con la curatela di Jana Zielinski e Jiří Macek e il progetto espositivo di Jan Plecháč, dieci pezzi unici realizzati con approcci personali molto diversi, tutti spaziali. 

La convivialità intesa come bisogno collettivo di cura reciproca e solidarietà è, invece, il tema della quarta edizione di «We Will Design», la piattaforma che riunisce designer da tutto il mondo, in prevalenza giovani, scuole e università nel complesso dell’ex Ansaldo. Sotto l'etichetta «The Convivial Laboratory», vengono presentate, tra l'altro, due installazioni: «Flowair» di Ingo Maurer, con due grandi fiori gonfiabili che fluttuano accarezzati dal vento, e «Talamo», scultura performativa del duo di architetti italiani residenti a Londra Lemonot (Sabrina Morreale e Lorenzo Perri), realizzata in collaborazione con Xavier Madden e Katja Banovie. Si tratta di un letto immenso ma leggero, che diventa un palcoscenico in sospensione dinamica tra pavimento e soffitto, dove ammirare coreografie e performance teatrali.
 
Mentre nell’ambito di «Tortona Rocks», contenitore di eventi indipendenti che quest’anno ha scelto il tema «Prelude. Il design che verrà» come filo conduttore, spicca, tra gli altri, Ikea che presenta, al Padiglione Visconti, la mostra «1st (First)», progettata dall’architetto Midori Hasuike e dallo spatial designer Emerzon con l’intento di esplorare le tante «prime volte» che le persone vivono quando traslocano nella loro prima casa. Lo spazio del brand svedese è anche un luogo di ristoro, relax, divertimento e incontro, animato da un fitto programma di talks ed eventi musicali.

Proseguendo, all’Opificio 31, il vero cuore di «Tortona Rocks», è possibile ammirare, tra l’altro, l’installazione dinamica «Crystal Beat II», progettata da Michael Vasku e Andreas Klug, direttori creativi di Preciosa Lighting, azienda attiva nel settore del cristallo di Boemia. L’opera trasporta i visitatori in una dimensione onirica dove musica e luce si uniscono rendendo possibile un’immersione sensoriale totalizzante. Non meno affascinante è il progetto immersivo proposto da Archiproducts, un omaggio al ruolo vitale dell’acqua nella nostra esistenza, curato dallo Studio Pepe, che gioca sulle proprietà ottiche dell’elemento naturale, con la sua profondità e capacità di riflettere come uno specchio.

Un altro angolo di Milano che si anima di progetti per la Milano Design Week è il distretto Isola. Quest’anno mostre, installazioni, eventi, workshop e performance – per un totale di quaranta eventi, che coinvolgono più di trecento designer provenienti da quarantasette Paesi - sono riuniti sotto il titolo «This Future is Currently Unavailable», un invito ad agire per dimostrare che il design può essere il motore per affrontare le sfide del mondo reale, ridisegnando il futuro del pianeta e dell’uomo.
Il Fuorisalone di Isola approda in tre nuovi hub: Lampo Milano (in via Valtellina 5), mega progetto di riqualificazione urbana dello storico scalo ferroviario Farini che si articola su un’area di 40mila metri quadrati, il polo co-working WAO PL7 (in via Luigi Porro Lambertenghi 7), il centro culturale Stecca 3.0, ai piedi del Bosco verticale, ai quali si aggiunge la Galleria Bonelli (in via Luigi Porro Lambertenghi 6).
 
Tra le installazioni da vedere all’interno del distretto c’è «The Secret Garden» nell’atrio della stazione Porta Garibaldi, un allestimento curato da Claudia Zanfi per Green Island, dove scoprire vari progetti interamente realizzati con materiali naturali e sostenibili, circondati da tanta vegetazione. Tutti gli elementi che compongono questo insolito giardino urbano ruotano attorno all'installazione centrale ideata dal designer Matteo Cibic e realizzata da Jaipur Rugs: uno speciale tappeto in filato naturale intessuto dalle abili mani delle sarte che abitano le zone rurali di Jaipur, in Rajastan.

Certosa, il distretto nella zona nord-ovest della città al centro di un importante progetto di rigenerazione urbana promosso da RealStep, ha, invece, scelto di raccontarsi alla Milano Design Week con una mostra en plein air dell'artista visivo francese Robin Lopvet, a cura del collettivo Kublaiklan. Tra piazza Cacciatori delle Alpi e via Varesina rimarranno esposte fino a giugno una serie di immagini fotografiche, dai colori vivaci e con elementi surreali e giocosi, che documentano, in chiave ironica e accattivante, il processo di riqualificazione in essere e la comunità locale che anima il quartiere: artigiani di bottega, operai e ristoratori.
 
Spingendosi fuori dagli usuali confini della Milano Design Week meritano, infine, una visita la comunità creativa «sotterranea» di Dropcity, il centro di architettura e design ideato da Andrea Caputo nei tunnel sotto la stazione Centrale di Milano, e il nuovo flagship store di Paola Lenti, in zona Maciachini, un ex complesso industriale di 4mila metri quadrati riqualificato e trasformato in un’architettura bioecologica con showroom, lounge, uffici, giardini, serre e «uno spazio espositivo dedicato a espressioni artistiche del linguaggio contemporaneo».
 
Fulcro del progetto, che si presenta con il titolo «Oltre lo sguardo», è la natura: un giardino umido, un tetto verde impollinatore, un bosco edibile, un patio tropicale e un giardino delle perenni e bozzolo si intersecano, fino a fondersi, con lo spazio edificato, grazie al disegno ideativo di «Alfa, la casa possibile» con le sue meravigliose tonalità verdi, ma anche agli elementi d’arredo outdoor, dalle sedute di Lina Obregón e Bertrand Lejoly al tavolo Dock di Francesco Rota, con un piano a doghe in lava naturale nell’inedita finitura glacé.
 
All’interno di questo luogo magico, che è un invito a spingere la visione «oltre la sicurezza del prevedibile e la gratificazione del risultato veloce», è allestita, in un piccolo edificio non ancora riqualificato, una mostra dello studio Nendo, nuovo capitolo del progetto «Mottainai», termine che in giapponese significa «non sprecare, utilizzare le risorse che si hanno a disposizione». In questo caso a essere recuperati quotidianamente e accostati con cura secondo un coerente criterio cromatico sono stati i ritagli di tessuto Maris, un prodotto sviluppato e realizzato in esclusiva da Paola Lenti per le proprie collezioni outdoor. A partire da questi materiali, Nendo ha ideato la serie di arredi e complementi «Hana-arashi», termine giapponese, questo, che – si legge nella nota stampa - «descrive la seconda bellezza costituita dalla danza nel vento dei petali dei fiori di sakura (ciliegi), quando invece la prima coincide con la piena fioritura». Un nome che rimanda alla leggerezza, al movimento, al colore, al potere della natura di produrre meraviglia. Sostenibilità, materialità e spiritualità si sposano così magicamente dando vita a prodotti essenziali ed eleganti come un haiku, una poesia.

Didascalie delle immagini
1. Un pezzo di «Hana-arashi» di Nendo per la mostra da Paola Lenti. Courtesy: Paola Lenti; 2, Vista di «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab; 3. Esterno di Superstudio +. Foto di Riccardo Diotallevi; 4. Un progetto di Domus Accademy a Tortona; 5. Talamo, scultura performativa del duo di architetti Lemonot. Performance a Base Milano; 6. Vista di «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab; 7 e 8. Living Certosa un progetto di Robin Lopvet, a cura di Kublaiklan, promosso da Milano Certosa District  © Courtesy Kublaiklan. Foto di Matteo Losurdo, 9.  Collezione «Hana-arashi» di Nendo per la mostra da Paola Lenti. Courtesy: Paola Lenti

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giovedì 18 aprile 2024

Milano Design Week #4, una passeggiata in centro tra installazioni scenografiche, palazzi storici e mostre di nicchia

C’è una tappa imprescindibile per gli amati della fotografia in questa edizione della Milano Design Week, il cartellone di oltre mille eventi promosso in occasione del Salone del mobile, che fino a domenica 21 aprile anima tutta la città, dalle zone storicamente protagoniste della settimana meneghina dedicata alla cultura del progetto - Brera, 5Vie, Durini, Isola, Statale e Tortona – alle new entries di Porta Venezia e del distretto di via Paolo Sarpi, fino ai quartieri di Porta Romana, Stazione centrale, San Vittore, Quadrilatero della moda, Bocconi e Castello sforzesco. È il Garden Senato, dove Veuve Clicquot, una delle maison più celebri dello champagne, fa risplendere la sua «solaire culture» con «Emotions of the Sun», una mostra curata da Pauline Vermare, con la preziosa collaborazione dell’iconica Magnum Photos, l’agenzia fondata nel 1947 da Robert Capa ed Henri Cartier-Bresson, oggi presieduta da Cristina de Middel.

In un elegante allestimento firmato dalla designer francese Constance Guisset, una quarantina di fotografie inedite scattate da otto artisti contemporanei dell’obiettivo celebrano il sole, simbolo di gioia e ottimismo, in uno straordinario spettro di emozioni, forme e colori, dai vasti spazi all’aperto ai più intimi ambienti interni. Con i suoi maestosi studi sul Fuji-san, in Giappone, Steve McCurry cattura, per esempio, momenti di puro rapimento e contemplazione, donandoci un inno alla grandiosità degli elementi. Mentre Lindokuhle Sobekwa celebra i miracoli di tutti i giorni: un tramonto, i fiori che schiudono i petali, il luccichio dei raggi del sole. Cristina de Middel trasmette una sensazione di pura gioia e leggerezza dell’essere; Olivia Arthur racconta, invece, con scatti molto personali, la serenità delle estati dell’infanzia. Newsha Tavakolian porta sotto i riflettori una storia di speranza ed emancipazione femminile. E ancora Nanna Heitmann ci parla del sole come fonte di tutta la vita, forza che ci connette tutti. Alex Webb colpisce l’attenzione con i colori vividi delle sue immagini, caratterizzate da un sapiente gioco di luci e ombre. Trent Parke, infine, ci regala scenografie simboliche, che svelano la presenza dell’eternità in tutte le cose.

A Garden Senato Veuve Clicquot ha installato anche una boutique dedicata con una selezione di libri di fotografia e raffinati oggetti di design, il poster della mostra e le sue cuvée più iconiche; tutti i giorni è, inoltre, possibile assaggiare il menù «Sun in your plate», con preparazioni appositamente create da chef stellati e talenti gastronomici emergenti con verdura e frutta di stagione.

Rimanendo nei dintorni di Porta Venezia meritano una visita il Meet Digital Cultural Center, allestito dallo studio di progettazione Migliore+Servetto per Neutra con «To the edge of matter - An unforgettable journey», e Garage 21, dove Google presenta un’installazione di sicuro impatto come «Making sense of color», una vera e propria gioia per gli occhi con il suo gioco di luci e colori. Mentre il meraviglioso Palazzo Isimbardi, noto per il suo grande telero trompe l’oeil del Tiepolo e gli stucchi settecenteschi, ospita la mostra «Re/Creation» di Lasvit, azienda che ha ampliato i confini del vetro lavorato a mano.
 
Sempre in zona vale la pena fare tappa da Artcurial, in corso Porta Venezia 22, dove viene presentata una selezione di lotti dall’asta dedicata al solo «Design italiano», in calendario a Parigi il prossimo 29 maggio. L’esposizione allinea pezzi rari e dalla raffinata fattura, in certi casi delle vere e proprie icone come il salotto «Uovo» di Ico Parisi, emblematico della collaborazione del designer con Cassina, o la lampada «Stella» di Giò Ponti, disegnata appositamente per il London Hotel di Milano. C'è, poi, in mostra un intero focus su Gaetano Pesce, il progettista ligure, recentemente scomparso, al centro del prossimo appuntamento espositivo della Pinacoteca ambrosiana (in agenda dal 19 al 23 aprile), del quale sono visibili oggetti di grande prestigio come la libreria «Luigi» (detta anche «O mi amate voi»), un inno al colore disegnato nel 1982 per Bemini. Completa la carrellata un omaggio alla designer milanese Gabriella Crespi, rappresentata da una lampada da tavolo dalle forme e texture organiche della serie «Bohemian 72», che ben racconta il suo periodo orientalista, e dal celebre «Lotus» del 1975, un tavolino pieghevole in bambù e ottobre che imita i movimenti della pianta acquatica da cui prende il nome.
 
Altro appuntamento da non perdere per i collezionisti d’arte è, sempre in centro, la mostra «Elogio alla creatività», proposta da Pandolfini, la più antica casa d’aste italiana che quest'anno festeggia cento anni di attività, nei suoi rinnovati spazi di via Manzoni 45. Dal capolavoro «San Giovanni Battista» di Jusepe Ribera all’olio su tela «Donna in lettura» di Eugenio Cecconi, dal dipinto «Una sera» di Salvo al celeberrimo «Trono modello senza fine» di Gaetano Pesce, senza dimenticare un vaso cinese della dinastia Qing in cloisonné a forma di cuore girevole, l'esposizione propone una selezione di opere delle prossime aste e rappresenta un momento per celebrare la forza vitale e creativa del design internazionale declinato, in questo caso, su oggetti dalle differenti destinazioni d’uso, ma tutti capaci di dare un tocco speciale a qualsiasi casa.

Spostandoci verso piazza Duomo, dove Zegna ha riprogettato le aiuole nel rispetto della biodiversità e dell’ecosistema, merita una tappa il cortile d’onore di Palazzo Reale, in cui Grohe, leader globale nelle soluzioni per il bagno e la cucina, presenta un viaggio sensoriale incentrato sul potere rivitalizzante dell’acqua. In piazza San Fedele è, invece, allestita «Second Life: 10 alberi per 10 totem d’autore», un’installazione, a cura di Nicoletta Gatti, nata in seguito al violento nubifragio che ha colpito Milano lo scorso 25 luglio, causando l’abbattimento di oltre 5.000 alberi, alla quale hanno preso parte Alessandra Baldereschi, Elena Salmistraro, Federico Peri, Francesco Meda, Giulio Iacchetti, Marco Piva, Mario Trimarchi, Nicoletta Gatti, StudioPepe e Zanellato/Bortotto. Sempre in piazza San Fedele Bottega Veneta incanta i visitatori con «On the rocks», un’installazione promossa con Cassina e Fondation Le Corbusier, che mette sotto i riflettori un’icona senza tempo come il celebre sgabello LC14 Tabouret Cabanon (1952), ispirato a una cassa di whiskey che Le Corbusier aveva trovato casualmente su una spiaggia della Costa Azzurra.  Mentre in piazza San Babila a dominare sono i colori pastello di «We are dreamer», un progetto delle sorelle Elena e Giulia Serra.

Poco distante, in via Sant’Andrea, nel cuore del Quadrilatero della moda, HoperAperta presenta la mostra «Mimesis Forma Immagine», a cura di Patrizia Catalano e Maurizio Barberis, un progetto giunto alla sua sesta edizione, che, nell’eleganza di un aristocratico interno milanese, racconta la relazione tra diverse forme-immagini e la loro trasformazione in oggetti d'arte attraverso la teatralizzazione dell'idea.

Rimanendo nella stessa strada, si può fare tappa a Palazzo Morando, dimora di chiara impronta settecentesca che venne abitata dalla contessa Lydia Caprara di Montalba e dal marito Gian Giacomo Morando Attendolo Bolognini, al cui interno sono esposte diciannove fotografie di grande formato che raccontano, con gli occhi dell’artista Carlo Valsecchi, i progetti realizzati dallo studio Acpv Architects Antonio Citterio Patricia Viel. La cornice scenografica rende ancora più interessante la visita all’esposizione, che ci restituisce la visione di un'architettura capace di fondersi con il paesaggio, tra i profili delle colline e dei quartieri, da Milano ad Amburgo, per giungere a Taichung (Taiwan).

Da sempre grandi protagonisti della Milano Design Week sono, infatti, anche i palazzi storici cittadini, scrigni di bellezza in alcuni casi difficilmente accessibili al pubblico. È il caso, restando sempre in centro, di Palazzo Gallarati Scotti, che fa da maestosa quinta scenica al flagship store di Poltrona Frau, di Palazzo Orsini, palcoscenico della collezione «Echi dal mondo» di Armani/Casa, e di Palazzo Giureconsulti, che diventa il quartier generale del design olandese. Meritano, poi, una segnalazione anche casa Manzoni, che Katrin Herden ha trasformato in un «Palazzo delle meraviglie», villa Necchi Campiglio, con Gaggenau e l’installazione minimalista «The Elevation of Gravity», e villa Mozart, edificio déco del 1926, che accoglie nelle sue sale la mostra «Doppia firma», dialogo tra pensiero progettuale e alto artigianato orchestrato dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e «Living».
 
Altro contesto di grande fascino, sempre in centro città, ma in zona Porta Romana, sono i Bagni misteriosi, adiacenti al teatro Franco Parenti, dove Azimut ha ormeggiato un suo yatch, cuore pulsante dell’installazione «Mooring by the moon», curata da Amdl Circle e Michele De Lucchi, che in un gioco di luci, colori, suoni e profumi mira a sensibilizzare il visitatore nei confronti di un approccio rispettoso alla natura. Poco distante, nel nuovo spazio di Fragile Milano, in via Simone D’Orsenigo 27, vale la pena visitare la la mostra «Anni luce, Arredoluce, cento lampade», a cura di Anty Pansera, che racconta la storia del marchio monzese di illuminazione, fondato nel 1943 da Angelo Lelii, attraverso pezzi più o meno iconici, realizzati anche con la collaborazione di grandi designer del Novecento come Castiglioni, Sottsass, Gio’ Ponti, Egle Amaldi e Nanda Vigo.

Il percorso in centro città, ancora ricco di molti stimoli da scoprire lasciandosi guidare dalle proprie passioni, dalla curiosità e anche dal caso, non può non chiudersi all’Università statale, principale vetrina della mostra «Cross Vision», con cui il magazine «Interni» festeggia i suoi settant’anni di attività. Tra le installazioni, visibili fino al 28 aprile, ci sono «The Amazing Walk», ovvero un sentiero sospeso sull’acqua che Mad Architects ha realizzato per Amazon, «Sub», l'invito di Piero Lissoni a guardare al mare e agli oceani con rispetto, e il carro armato contro la guerra dell’opera «Door is Love», messaggio pacifista di Marco Nereo Rotelli, che ci invita a entrare in un mondo nuovo dominato dall’amore, rappresentato in mostra da un portale d’oro impreziosito con versi poetici e scritte. Tre esempi, questi, di come il know-how, la ricerca e la sperimentazione del design possano parlarci di sostenibilità e di tutela dei luoghi in cui viviamo.

Didascalie delle immagini
1. Gaetano Pesce (1939-2024), «Luigi o mi amate voi», Libreria 6 ante. ©Artcurial; 2. © Alex Webb - Magnum Photos; 3. © Nanna Heitmann - Magnum Photos; 4. Gabriella Crespi (1922-2017), Table Lotus, Certificato degli archivi Crespi; ©Artcurial; 5. Gaetano Pesce (1939-2024), «Luigi o mi amate voi», Libreria 6 ante. ©Artcurial; 6 e 7. Second Life - Exhibition view. Ph. Andrea Martiradonna; 8 e 9. Neutra. To the edge of matter. Exhibition by Migliore+Servetto; 10. Allestimento Arredoluce. Ph Nicola Galli 

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martedì 16 aprile 2024

Milano Design Week #2, tutti gli appuntamenti da non perdere al Brera Design District

È la seconda metà del Settecento quando Maria Teresa d’Austria, la prima e unica donna a capo dei vasti possedimenti dell’impero asburgico, tra cui c’era anche la Lombardia, decide di dar vita a Milano a una cittadella delle arti e della scienza. Il Palazzo di Brera, edificio sorto su un antico convento trecentesco dell’ordine degli Umiliati, successivamente passato all’Ordine dei Gesuiti, il cui attuale assetto si deve all’architetto seicentesco Francesco Maria Richini, diventa il cuore di questo progetto illuminato destinato a cambiare il volto di un intero quartiere. Una grande biblioteca pubblica, l’Orto botanico, la Società patriottica (poi Istituto lombardo di scienze e lettere), la celebre Accademia di belle arti e la Pinacoteca, oltre al già presente Osservatorio, trasformano quel borgo molto popolare a pochi passi dal Duomo e dal Castello Sforzesco, il cui nome deriva dal termine medioevale di origine longobarda «brayda», ovvero «campo erboso, terreno incolto», nella casa degli artisti.
 
Tra le strade ciottolose del quartiere e nelle sale dell’Accademia muovono i propri passi maestri bohèmien della scapigliatura come Tranquillo Cremona e Daniele Ronzoni, mentre, nei primi decenni dell’Ottocento, il romantico Francesco Hayez, l’artista definito da Giuseppe Mazzini «il capo della scuola di pittura storica che il pensiero nazionale reclama in Italia», forma una generazione di pittori. Adolfo Wildt è, invece, a capo della cattedra di plastica della figura nei primi decenni del Novecento e vede tra i banchi della sua classe Lucio Fontana, Fausto Melotti, Luigi Broggini e il meno noto Giuseppe Busuoli. Piano, piano Brera si popola di locali: la latteria delle sorelle Pirovini, il bar della Titta, il Soldato d’Italia e il leggendario Jamaica. È ai tavolini di questo locale, aperto nel 1911, che si siede, per un bicchiere di vino o per una chiacchierata con gli amici, il fior fiore dell’arte e della cultura italiana, da Gianni Dova a Roberto Crippa, da Cesare Peverelli a Bruno Cassinari, da Samboné a Roberto Treccani, da Piero Manzoni a Emilio Tadini, dai poeti Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo ai fotografi Ugo Mulas e Mario Dondero.

Nasce così il mito della «Montmartre milanese delle Avanguardie», uno dei quartieri più iconici della città, che ancora oggi mette in mostra la sua allure creativa con il Brera Design District, marchio registrato da StudiLabo, nato quindici anni fa e diventato, negli anni, una delle tappe obbligate nei giorni del Salone del mobile

Per l’occasione il distretto, al momento uno dei più importanti a livello internazionale per la promozione della cultura del progetto, indossa il suo vestito migliore e, fino al 21 aprile, propone più di duecentoventi appuntamenti tra mostre, grandi installazioni, opere d’arte site-specif, riflessioni sulla sostenibilità del nostro abitare, con il tema «Materia natura» scelto da Fuorisalone.it a fare da filo rosso, nonché presentazioni di nuove collezioni nei 196 showroom permanenti del quartiere, tra cui si annoverano 15 nuove aperture dallo scorso maggio. In via Manzoni debuttano quattro insegne: Davide Groppi, DePadova, laCividina e Talenti. In via Fiori Chiari attireranno l’attenzione dei visitatori le inedite Schumacher e THG Paris. E, poi, nel dedalo di strade tra le fermate di Lanza e Turati, fanno il loro esordio anche gli showroom di Alice Ceramica, Atelier Tapis Rouge, Calligaris Flagship Store, Delvis Unlimited, Dornbracht, Ceramica Sant'Agostino, Nic, Rossin e Voilàp home.

Tra gli eventi più attesi, e di sicuro impatto scenico, c’è quello promosso da Porsche: «Lines of Flights», una scultura interattiva realizzata dal collettivo austro-croato Numen/For Use (formato da Sven Jonke, Christoph Katzler e Nikola Radeljković), che intreccia e ingarbuglia, negli spazi del seicentesco Palazzo Clerici, una grande rete sospesa fatta da una maglia leggera di cellule in metallo, una sorta di paesaggio fluttuante e di «amaca sociale», la cui struttura reticolare si ispira al motivo pied de poule del tessuto Pepita, usato per i rivestimenti di alcuni modelli iconici della casa automobilistica tedesca a partire dagli anni Sessanta.
 
Tra gli appuntamenti da segnarsi in agenda ci sono «There is no kitchen» del marchio tedesco Bulthaup, nel cortile d'onore della Pinacoteca di Brera, l’installazione «Transitions», presentata da Stark nella Sala dei Pilastri del Castello Sforzesco, trasformata per l'occasione in uno spazio multisensoriale e interattivo, tra pattern sinuosi e inaspettati che nascono dalla presenza o dall'assenza di acqua.
 
Altre location di grande suggestione, in alcuni casi aperte per l’occasione, sono: Palazzo Cusani, dove il brand tedesco MCM espone la collezione Wearable casa concepita dall'Atelier Biagetti; Palazzo Citterio, con ventiquattro lampade del marchio spagnolo Loewe; Palazzo Crivelli, che propone un’esperienza multisensoriale a base del distillato sudamericano Zacapa Rum; il sagrato e i chiostri della Chiesa di San Marco, vetrina per l’outdoor living; Palazzo Landriani, con la mostra «Gravity of Light» di Poggenpohl; la Chiesa di Santa Maria Incoronata, con le sedute dell’installazione «Oasi dell'inclusione»; e, infine, la sede del «Corriere della Sera», in via Solferino 28, dove è messa in scena l’installazione «Design, Dismantle, Disseminate», ideata dallo studio Mario Cucinella Architects, che dà forma a «nuova città» realizzata con cassette di frutta, che, dopo aver dato vita a uno spazio urbano inedito, saranno smontate per tornare alla loro funzione originale.
 
In un altro luogo di grande fascino, l’Orto botanico, il magazine «Interni», che quest’anno festeggia i suoi settant’anni di attività con la mostra diffusa «Cross Vision», presenta, in collaborazione con Eni, l’installazione «SunRice – La ricetta della felicità», ideata da Carlo Ratti Associati e Italo Rota (l’architetto scomparso lo scorso 6 aprile), in collaborazione con lo chef stellato Niko Romito. Protagonista di un percorso esperienziale tra piante e fiori è un alimento semplice come il riso, interpretato prima come pianta, poi come ingrediente per un biscotto e infine come materia prima per un’architettura inedita e sostenibile fatta con gli scarti di lavorazione del prodotto, che, in un’ottica di virtuosa circolarità, si trasformerà in pacciamatura, in nuova linfa per le piante del polmone verde di Brera.
 
Offre un luogo di fuga dalla frenesia dal caos di questi giorni milanesi, anche Grand Seiko con il progetto «Materia in movimento» nello spazio Casa Brera, in via Formentini 10, trasformato per l’occasione in un bosco urbano di betulle, dove sperimentare il forest bathing, una tecnica di meditazione giapponese che permette di immergersi nella natura e riconnettersi con essa, e riflettere così sull’importanza del tempo, quello che la maison di orologeria nipponica scandisce con i suoi prodotti.
 
Poco lontano (a circa cinque minuti a piedi), in via Cernaia 1, Casa Mutina apre le porte a una personale del designer francese Ronan Bouroullec, reduce da una mostra al Centre Pompidou di Parigi, nella quale vengono presentate due nuove collezioni di rivestimenti, una da interno e una da esterno, insieme a nuovi oggetti in ceramica realizzati in edizione limitata.

Altro appuntamento da non perdere è quello all’Hub Gattinoni, in via Statuto 2, che diventa per un’intera settimana la casa di glo, brand di punta di Bat Italia per i dispositivi scalda stick destinati ai fumatori, e ospita un’installazione immersiva firmata da Emiliano Ponzi, tra i più rinomati illustratori del panorama nazionale e internazionale. L’artista, noto per il suo stile concettuale e raffinato, dà vita a «Flower Up», un’opera site specific di grande impatto e dalla forte carica tecnologica, che si configura come un vero e proprio inno al colore e alla positività. Attraverso un tunnel immersivo, dove realtà e meraviglia si intrecciano in una realistica esplosione di sagome, cromie e petali fluttuanti, si giunge nel «Giardino delle meraviglie», caratterizzato da scultura di grande impatto: un maestoso albero con fiori e petali colorati.
 
Un’esperienza all’insegna del colore è anche quella che propone Chiquita con Romero Britto, esponente del NeoPop e fondatore dell’Happy Art Movement, che, negli spazi della casa d’arte Cambi, ricrea uno spazio immersivo, interattivo e colorato per celebrare la banana più famosa del mondo.

Il Brera design district è, infine, anche la sede scelta da due delegazioni straniere per presentare il meglio del loro design. Palazzo Confalonieri mette in mostra la creatività austriaca con trenta produttori e top designer del Paese, presentati attraverso un concept creativo realizzato dai pluripremiati architetti Vasku & Klug
La Casa degli artisti diventa «House of Switzerland Milano» e punta i riflettori sulla variegata scena elvetica proponendo 23 progetti di designer, studi, università, marchi e gallerie, che danno forma al tema della gioia, filo rosso di quest’anno, in maniera innovativa e ricca di sfaccettature. Panchine, protezioni antipioggia, apparecchiature per DJ di alta qualità, una collezione di vasi in vetro, ma anche un braccio robotico, vecchie corde da arrampicata che diventano tappeti colorati, scarpe per bambini caratterizzate da un riutilizzo responsabile dei materiali sfilano lungo il percorso espositivo, che parte da una domanda: «qual è il ruolo che il design può assumere nella società e in che modo la gioia può essere sfruttata come fattore positivo di trasformazione?». La cultura del progetto pone, dunque, attenzione all’economia circolare. Si fa attenta all’ambiente per costruire un futuro sostenibile.

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lunedì 15 aprile 2024

Milano Design Week #1, gli appuntamenti da non perdere in Triennale e all’Adi Design Museum

«Le altre città hanno delle colline come Roma, Firenze e Torino; altre hanno il mare come Genova e Napoli che ha anche il Vesuvio. Dio ha aiutato molto la bellezza di queste città, ma per Milano, Dio non ha fatto niente, quindi sta a noi fare in modo che Milano sia una bella città. È una questione di creazione». Vengono in mente queste parole dell’architetto Gio’ Ponti pensando all’aprile ricco di creatività, e dunque di bellezza, che sta vivendo il capoluogo lombardo. Spenti i riflettori sulla fiera d’arte moderna e contemporanea miart e su Mia Photo Fair, prestigiosa vetrina per la fotografia d’autore, la città si prepara a diventare protagonista della scena internazionale con il design e i complementi d’arredo grazie alla sessantaduesima edizione del Salone del mobile che, da martedì 16 a domenica 21 aprile, porterà negli spazi di Milano Rho Fiera più di 1.900 espositori, tra cui 600 giovani talenti e 22 scuole di design.

In contemporanea con la kermesse mercantile, istituzioni culturali, fondazioni private, progettisti, designer, gallerie, aziende storiche, showroom, brand emergenti, scuole, università e anche palazzi storici come Villa Mozart a Palazzo Morando (dove sarà allestita una personale del fotografo Carlo Valsecchi), presentano mostre, momenti di condivisione e di confronto delle idee, installazioni, conversazioni per dare forma al nostro presente e provare a immaginare il futuro che verrà, almeno dal punto di vista della sostenibilità ambientale nel processo creativo e progettuale. «Materia natura» è, infatti, il titolo dell’edizione 2024 del Fuorisalone, che, insieme con il palinsesto comunale della Milano Design Week, prevede oltre mille eventi disseminati in tutta la città, dalle zone storicamente protagoniste della settimana del design - Brera, 5Vie, Durini, Isola, Statale e Tortona – alle new entries di Porta Venezia e del distretto di via Paolo Sarpi, fino ai quartieri di Porta Romana, Stazione centrale, San Vittore, Quadrilatero della moda, Bocconi e Castello sforzesco.

Alessandro Mendini, Philippe Starck e Inga Sempé in Triennale
Il percorso alla scoperta del meglio di questa vivace settimana milanese può partire proprio dai dintorni del grosso complesso fortificato fatto erigere nel XV secolo da Francesco Sforza e più precisamente da quella che per la città è la casa del design e dell’architettura: la Triennale. In questi spazi è previsto, in collaborazione con Fondation Cartier pour l’art contemporain, un duplice omaggio ad Alessandro Mendini, architetto, designer, artista e teorico che ha segnato le rivoluzioni del pensiero e del costume del Novecento e del nuovo millennio e che ha colorato il mondo del design con il suo approccio postmodernista e a tratti ironico, lasciandoci pezzi iconici come la poltrona di Proust, la Petite Cathédrale, il cavatappi Alessandro M di Alessi o la lampada Slide. Nello spazio Cubo va in scena la retrospettiva «Io sono un drago», a cura di Fulvio Irace e con il progetto di allestimento di Pierre Charpin, che rimarrà poi aperta fino al 13 ottobre; mentre nell’Impuvium per due mesi, a partire dal 16 aprile, sarà possibile vedere l’installazione site specific «What?», ideata da Philippe Starck, un viaggio impressionistico guidato da suoni e immagini in costante trasformazione.

In Triennale è aperta anche la mostra «Inga Sempé. La casa imperfetta», curata da Marco Sammicheli e con il progetto di allestimento di Studio A/C di Alessia Pessano e Chiara Novello, che mette in scena progetti, oggetti e disegni in uno scenario domestico, una vera e propria abitazione che ha l’obiettivo di trasmettere al visitatore la complessità e l’approfondimento del lavoro della designer francese. Il visitatore può interagire con ambienti come camera da letto, cucina, corridoio, disimpegno, spazio esterno, e svolgere gesti quotidiani, come leggere un libro, sedersi sul divano, accendere e spegnere le luci. L’esposizione, visitabile nei giorni del Salone del mobile e poi fino al 23 settembre, presenta anche alcuni oggetti disegnati da Vico Magistretti e Massimo Morozzi, e opere di artisti internazionali, tra cui Gilbert & George, Domenico Gnoli, Mette Ivers e Saul Steinberg.

In occasione della Milano Design Week la Triennale - oltre a queste mostre e a un cartellone di public program e party come «The Night of the Dragon» (16 aprile, ore 19.00- 23.00), che prende spunto dal disco «Architettura sussurrante» (1983) di Alessandro Mendini - propone un omaggio a Cini Boeri, una retrospettiva sui venticinque anni del Salone Satellite, un focus sul design ungherese, una mostra sui bastoni da passeggio, una rassegna sull’azienda americana di mobili Emeco, e, ultima ma non ultima, l’esposizione «Generating Visions. Alcantara in the Arts», per la curatela di Damiano Gullì, con opere tessili di Yuri Ancarani, Alberto Biasi, Zhang Chun Hong, Qin Feng, Soundwalk Collective, Nanda Vigo e Lorenzo Vitturi. Im questi spazi sono, inoltre, visitabili due mostre che hanno aperto i battenti nelle scorse settimane: «Dan Graham. The Passing time City» (fino al 12 maggio), con i padiglioni di grandi dimensioni «London Rococo» (2012) e «Sagitarian Girl» (2008), e «Ettore Sottsass. Design Metaphors» (fino al 15 settembre), con una serie di fotografie, raggruppate sotto il nome di «Metafore», scattate dal designer tra il 1972 e il 1978.

Suggestioni orientali all’Adi Design Museum e in zona Sarpi

Ci si può, quindi, spostare in un altro tempio cittadino votato allo studio e alla divulgazione della cultura del progetto: l’Adi Design Museum, in piazza Compasso d’Oro, che, anche grazie alla nascita del nuovo distretto urbano di zona Paolo Sarpi, la vivace e colorata Chinatown meneghina, propone un viaggio attraverso l’Oriente, partendo dal Giappone, passando per la Corea e arrivando alla Cina.

Il progetto principale è «Origin of Simplicity. 20 Visions of Japanese Design», a cura di Rossella Menegazzo e con l’allestimento di Kenya Hara, che allinea (fino al 9 giugno) centocinquanta opere, molte delle quali mai presentate in Italia, che hanno segnato la storia della progettazione e dell’artigianalità nipponica a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Il percorso della mostra, concepito come una foresta dove passeggiare, offre così uno sguardo trasversale tra design e artigianato per comprendere le origini del concetto di semplicità, ora declinabile come vuoto (ku), spazio o silenzio (ma), talvolta leggibile come povertà (wabi) e consunzione legata all’uso nel tempo (sabi), altre come asimmetria, non definitezza e imperfezione, in correlazione con i diversi pensieri filosofici appartenenti alla cultura del Sol Levante: dal buddhismo zen al pensiero animista shintoista, quasi opposti alla razionalità occidentale.

Sempre all’Adi Design Museum è esposta, nel giardino antistante, la microarchitettura «Mobile Home Helios», ultima innovazione nel campo delle soluzioni abitative mobili per il turismo open air, frutto della collaborazione tra Crippaconcept e Matteo Thun & Benedetto Fasciana. Mentre all’interno è possibile vedere «Feeling Good – Caimi design per il futuro», una mostra a cura di Aldo Colonetti e Valentina Fisichella, con il progetto di allestimento di Matteo Vercelloni, che ripercorre i settantacinque anni di attività di un’icona del made in Italy, la Caimi, che ha dato vita a oggetti semplici e di uso quotidiano come la schiscetta, ovvero il contenitore ermetico che permetteva agli operai di portare con sé con sicurezza il pasto nel percorso casa-lavoro, ma che si è interessata anche alle esigenze della vita in casa e in ufficio attraverso lo studio di pannelli fotoassorbenti.

Rimanendo in zona Sarpi, distretto che ha una propria simbolica porta d’accesso nell’installazione site specific realizzata dal creativo Tommaso Lanciani e dallo street artist Pao con stilemi orientali e italiani e con disegni di bambini del quartiere, meritano una tappa il Centro culturale cinese, che propone delle attività laboratoriali sul tema del riuso dei capi di vestiario e dei progetti per i più piccoli, e la Fabbrica del Vapore, che mette in scena un caleidoscopio di eventi nei suoi circa 5mila metri quadrati di superficie espositiva. 
Si spazia da «Changes, Know now China», con venti progetti che esplorano i cambiamenti in atto nel lifestyle cinese, a una mostra sullo zen design nelle calligrafie classiche orientali, che propone anche momenti di meditazione e cerimonie tradizionali, come quella del the, in compagnia di un monaco buddhista. Si va dall’omaggio di Matteo Mezzadri ad Artemisia Gentileschi al focus «Abitare è essere ovunque a casa propria» su Ugo La Pietra e i suoi progetti per il territorio urbano di Milano, passando per l’installazione «Post Global Village. Oggetti migratori» sul fenomeno delle migrazioni climatiche, la mostra «Futuro Anteriore. Casva Cabinet Of Design Thinking», la rassegna al femminile «UpTo fino a che punto ci si può spingere» e tanti altri progetti che guardano ai cambiamenti in atto e che propongono alternative alla guerra, all’intolleranza e all’ingiustizia. 
Questi spazi si aprono anche alla musica con un festival con alcuni dei nomi più interessanti della scena elettronica come Sama Abdulhadi, Francesco Del Garda, Lele Sacchi, Alex Neri, Rollover, Le Cannibale, Fabio Monesi, solo per citare alcuni dei protagonisti che si alterneranno alla consolle, in una scenografia che strizza l’occhio al futuro.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Alessandro Mendini in Triennale. Foto: Delfino Sisto Legnani - DSL Studio. © Triennale Milano;     [fig. 4] Courtesy Inga Sempé; [fig. 5] Coutery Hay; [figg. 6, 7 e 8] Veduta della mostra «Origin of Simplicity. 20 Visions of Japanese Design». Foto di Denise Manzi 

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martedì 9 aprile 2024

Una storia fragile, ma antica: la Barovier&Toso diventa una fondazione per diffondere la tradizione del vetro muranese

Ventiduemila schizzi di Ercole Barovier (1889-1974), migliaia di disegni tecnici di lampadari, foto storiche di prodotti o di ospiti illustri (tra tutti la regina Elisabetta con il marito Filippo), lettere, vecchie cartoline, antichi strumenti di lavoro e una collezione di quasi duecento oggetti ideati all'interno di una delle fornaci più affermate di Venezia: è un tesoro quello che Barovier&Toso, storica azienda muranese in Fondamenta dei Vetrai 28, il canale che in tutto il mondo è sinonimo di «cristallo veneziano» soffiato a bocca e lavorato a mano, ha deciso di mettere a disposizione degli studiosi.
 
L’archivio storico aziendale, per la cui realizzazione sono al momento previsti due anni di lavoro, è il primo progetto della neonata Fondazione Barovier&Toso, istituita dal presidente Rinaldo Invernizzi, a scopo sia conservativo che documentativo, ovvero per tramandare al futuro e contemporaneamente far conoscere al grande pubblico di oggi le fasi di lavorazione di opere e collezioni come i grandi vasi a policrome murrine trasparenti, di ascendenza Liberty, o gli animali della serie «Primavera» (1929), in vetro biancastro striato e craquelé, profilati da grossi filamenti vitrei neri. Sono, questi, due esempi di una tradizione artigianale secolare dal sapore alchemico, che affonda le proprie radici nel 1295 e nell’attività di un tal Jacobello Barovier, di professione phiolarius (soffiatore di fiale in vetro comune, ovvero bottiglie), capostipite di una famiglia che ha visto le proprie opere esposte nei più famosi musei del mondo, dal Louvre di Parigi al Victoria&Albert Museum di Londra, e che ha lasciato alla storia di Venezia alcune delle principali tecniche di lavorazione, da quella del «vetro a ghiaccio», citata per la prima volta nel 1570 in una carta veneziana, a quella detta «rugiada», inventata nel 1938, che si ottiene fissando a caldo, in fase di lavorazione, minuti frammenti di vetro all'oggetto per donargli estrema brillantezza.

Il vero fondatore della gloria familiare fu però, sul finire del Quattrocento, Angelo Barovier (1405?-1460). Di lui si hanno poche notizie, ma è certo – stando alle indicazioni fornite dal Filarete nel suo «De Architectura» - che il maestro muranese eccelse nella composizione di paste vitree e in decorazioni «intarsiate» di vetri colorati «a guisa di mosaico», ma che fu anche, e soprattutto, l’inventore della rivoluzionaria tecnica del «cristallo veneziano», un vetro incolore, dalle straordinarie caratteristiche di estrema trasparenza e brillantezza, di cui si parla per la prima volta in un decreto della Repubblica di Venezia del 1455.
 
Particolarmente apprezzata fu anche l’attività della figlia, Marietta Barovier, imprenditrice e designer che nel 1497, per concessione del doge Agostino Barbarigo, aprì una propria piccola fornace in cui cuocere i vetri decorati a smalto e dove inventò anche la «rosetta», una perla che riproduceva i petali di una rosa mescolando, strato dopo strato, il bianco, il rosso e il blu.
All’arista muranese viene, oggi, attribuita anche la realizzazione della celebre «coppa Barovier» (1460-1470), un contenitore dalle tonalità blu, dipinta a mano e decorata in oro, con motivi ornamentali e medaglioni smaltati, che fa parte della collezione dei Musei civici veneziani, nonché – scrive Giulio Lorenzetti sulla Treccani - «altri preziosi esemplari, come quelle mirabili coppe, bicchieri, tazze conservate nello Schlossmuseum di Berlino, nelle collezioni Dutuit e del barone Maurice de Rothschild a Parigi, nelle raccolte del South Kensington Museum di Londra. Di forma assai semplice, con ampie superfici lisce, questi vetri, […] di colorazioni a tinte cupe imitanti le pietre rare, come il rosso rubino, il verde smeraldo, il viola ametista, sono ornate con pittura a smalto, a semplici motivi ornamentali, a strisce, a squame, a puntini, a racemi, o con figurazioni di soggetti sacri e soprattutto profani, tratte da incisioni e xilografie del tempo […]».

Di secolo in secolo, di creazione in creazione, si arriva al 1878 quando i Barovier fondarono la «Artisti Barovier», la prima vera società della famiglia, che si fuse, nel 1936, con la «Saiar Ferro Toso» e, nel 1942, con la «Fratelli Toso» per diventare l’odierna Barovier&Toso e rinnovare così una traduzione lunga sette secoli, che, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, conobbe anche l’introduzione della lavorazione detta dei «murrini fusi» (tessuti vitrei per modelli figurativi, spesso floreali, e per modelli astratti) e l’ottenimento di due brevetti per la produzione del «vetro madreperla» e del «rosso corniola senza oro».

Il Novecento fu anche il secolo di Ercole Barovier (1889-1974), a capo dell’azienda dal 1926 al 1972. Sotto la sua guida artistica videro la luce le collezioni «Crepuscolo» (un vetro a tenui arborescenze brunastre ottenute con la lana di ferro inglobata nella parete, modellato in forme massicce e decorato a grossi anelli di cristallo), «Autunno gemmato» (vetro a chiazze rossastre ottenute con la colorazione a caldo senza fusione), «Rostrati» (caratterizzati da grosse punte rifrangenti la luce, ottenute con un particolare espediente tecnico e brevettati), «Rilievi aurati e argentati» (ciotole con frutta, fiori e foglie a rilievo, ricoperti da una foglia d'oro e d'argento) e un'infinita serie di altri lavori dai nomi pittoreschi, fino alle «Neomurrine» del 1972. Oggi, infine, l’azienda è, in tutto il mondo, sinonimo di illuminazione di lusso in vetro soffiato.

Per rendere realtà il progetto di un archivio aziendale della Barovier & Toso è previsto un importante lavoro di ricerca critica, catalogazione e archiviazione di migliaia di documenti e manufatti che verranno resi accessibili, per la prima volta, in formato digitale. Ma la Fondazione ha anche altri importanti scopi statutari. La Barovier&Toso intende, infatti, «promuovere – si legge nella nota stampa - le arti e la cultura da tutto il mondo, approcciando le espressioni artistiche contemporanee da una prospettiva storica, e dando priorità alle iniziative creative legate a Venezia e al suo patrimonio», con un’attenzione particolare, naturalmente, alla lavorazione del vetro, una delle più prestigiose creazioni culturali della Serenissima nel mondo. Lo staff della Fondazione pensa, nello specifico, di creare una collezione d’arte attraverso le donazioni degli artisti e di presentare questi lasciati con mostre temporanee. L’ambizione è di diventare, in questo modo, un crocevia innovativo, dove la tradizione vetraria si fonde con le più moderne espressioni creative – non solo le arti visive, ma anche la musica, la letteratura, la danza e la teatro – creando un dialogo unico e senza tempo.

Le esposizioni sono, in realtà, già da tempo nel Dna di Barovier&Toso, che ha anche un museo privato di arte vetraria sull’isola di Murano, nelle sale di Palazzo Contarini. Per esempio, per la Milano Design Week lo showroom meneghino dell’azienda, in via Durini, ospita, dal 16 al 21 aprile, «Endless | Light Reflections», un’installazione luminosa immersiva dall’aspetto onirico, realizzata da vandersandestudio, composta da sottili colonne in vetro soffiato con effetti luminosi di accensione e spegnimento alternato che poggiano su alcune pareti specchianti installate a terra e soffitto. Mentre, in occasione della 60° Biennale d’arte di Venezia la neonata Fondazione debutta con il suo calendario di mostre presentando la collettiva «H2O Venezia: Diari d’acqua / Water Diaries», in agenda dal 18 aprile al 24 novembre allo SPUMA – Space for the Arts, nel complesso dell'ex Birrificio Dreher, alla Giudecca. Il progetto è il punto di arrivo di un programma di residenza per il quale sono state selezionate cinque artiste - Alizée Gazeau (dalla Francia), Marija Jaensch (dai Paesi Bassi), Amy Thai (dall’Australia), Sofia Toribio (dall’Argentina) e Jiaying Wu (dalla Cina) –, invitate a confrontarsi con un elemento, l’acqua, che da sempre fa parte della vita di Venezia e dei veneziani, vista ora come disagio e minaccia, ora come simbolo di commerci e ricchezza.

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giovedì 16 dicembre 2021

A Venezia un nuovo showroom per il marchio di tessuti Fortuny

Ci sono due spazi a Venezia che portano avanti il pensiero dello scenografo, pittore, stilista, incisore, designer e inventore spagnolo Mariano Fortuny (Granada, 11 maggio 1871 – Venezia, 3 maggio 1949), uomo dall’incalcolabile talento, più volte celebrato nella «Recherche» di Marcel Proust, che disegnò i modelli «alla greca» - le tuniche «Delphos» - per la ballerina Isadora Duncan e gli abiti di scena che Eleonora Duse, la «Divina» del teatro italiano, indossò nella tragedia «Francesca da Rimini» di Gabriele D’Annunzio. Uno è la casa-museo nel sestiere di San Marco, con ingresso da campo San Beneto, esempio magistrale di gotico veneziano che conserva al proprio interno i tessuti, gli abiti, le collezioni dell’artista, la cui visita termina nello scenografico atelier dell’ultimo piano, un laboratorio delle meraviglie che vide la nascita della plissettatura (il brevetto è del 1909) e del velluto di seta stampato. L’altro è la fabbrica tessile, che Mariano Fortuny fondò nel 1919 alla Giudecca, all’interno di un caratteristico edificio in mattoni rossi, che precedentemente fu sede del convento San Biagio, chiuso in epoca napoleonica.
Da cento anni questa azienda segna la storia del tessuto, conquistando il jet set internazionale, dall’Italia alla Spagna, per giungere al mercato statunitense. Con i macchinari d’epoca brevettati dallo stesso Mariano Fortuny, ancora oggi, sotto la guida dei fratelli Mickey e Maury Riad, si stampano tessuti di purissimo cotone che ripropongono i disegni dell’archivio storico (circa quattrocentocinquanta), ricolorati e rifiniti a mano.
La formula è segreta, custodita con riservatezza da una quindicina di operai, che, di giorno in giorno, rinnovano la sapienza artigiana di un artista totale, nell’accezione wagneriana del termine, che non solo ha saputo rendere il cotone simile ai più pregiati broccati di seta, ma è stato anche capace di rinnovare l’illuminazione teatrale con la Cupola Fortuny, un sistema che potenzia l’effetto illusorio della profondità della scena, adottato anche dalla Scala di Milano nel 1921.
Dopo la morte dell’artista spagnolo, nel 1949, la fabbrica ha, infatti, continuato a vivere grazie alla decisione della moglie di Mariano Fortuny, Henriette Negrin, che ha venduto il marchio alla interior designer newyorkese Elsie McNeill Lee, che l’ha, a sua volta, ceduto all’amico e legale Maged Riad, di origine egiziana, il padre degli attuali proprietari.
Nel 2022 l’azienda veneziana, uno degli status symbol del made in Italy, compie cento anni di attività. I primi tessuti firmati Fortuny uscirono, infatti, dall’edificio lagunare, all'ombra del Molino Stucky, nel 1922.
«Always beautiful never the same» («Sempre bellissimo, mai lo stesso») è la filosofia che da allora anima la produzione tessile dell’azienda, ospite d’onore in luoghi che sono da sempre sinonimo di lusso come l’hotel Gritti, Ca’ Rezzonico, villa Feltrinelli sul lago di Garda, l’hotel Excelsior al Lido, il Museo Carnavalet di Parigi e il Metropolitan di New York.
Per festeggiare l’anniversario è stato da poco inaugurato il nuovo showroom. Luce, riflesso, colore, viaggio, influenza, teatro: sono le sei parole chiave che hanno animato il progetto, firmato dall’architetto veneziano Alberto Torsello, compasso d’oro nel 2018, con all’attivo restauri architettonici per icone come Palazzo Ducale, il Fondaco dei Tedeschi, e la Scuola Grande della Misericordia a Venezia.
Il progettista, neo direttore artistico di Fortuny, ha ideato una vera e propria macchina scenica, un sistema per esporre non solo i preziosi tessuti realizzati nell’edificio in mattoni rossi, ma anche la storia, il senso e l’identità di questi manufatti antichi e bellissimi.
Fedele alla visione del suo fondatore, l'edificio è scandito da tre concetti ben precisi che si trasformano in altrettanti spazi: l’ingresso, la casa della memoria, il teatro.
Il primo è il luogo dell’accoglienza. Qui, intorno a un tavolo che avvolge una tipica scala veneziana stretta e ripida, si entra nel mondo creativo del brand Fortuny, che distilla nel tessuto pittura e rappresentazione, luce e architettura.
Il secondo spazio è la casa della memoria dove cuscini di varie dimensioni sono installati come opere d’arte in una libreria che sembra una quinta teatrale. Ogni elemento d’arredo coniuga identità e memoria, antico e contemporaneo. Ne è esempio l’archivio di tirelle site specific, progettato e incastonato fra due finestre da cui si vede il verde del canale.
Il terzo spazio è quello del teatro; qui Alberto Torsello ha creato un sistema espositivo in cui i rulli dei tessuti installati a soffitto sviluppano la possibilità di calare dall’alto le stoffe, come si fa con un sipario. In questa parte dello showroom i tessuti diventano elementi architettonici, pareti mobili, quinte teatrali intercambiabili che formano ambienti e luoghi ogni volta diversi e ammalianti. Tutto parla di Mariano Fortuny, del suo amore per il bello, della sua passione per la sperimentazione, della sua capacità di rendere nuovo il passato, del suo amore per Venezia, la città di luce e acqua, dai riflessi abbaglianti e dai colori cangianti.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2 ] Foto di Alessandra Chemollo; [figg. 3, 4 e 5] Foto di Colin Dutton 

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