ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
Visualizzazione post con etichetta Grand tour. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Grand tour. Mostra tutti i post

sabato 9 ottobre 2021

«Venezia. Infinita avanguardia», al cinema milleseicento anni di storia in Laguna

«Molteplice, labirintica, avvolgente, onirica»: in una parola Venezia. A milleseicento anni dalla sua fondazione, la città continua a essere unica per il suo ambiente urbano - fatto di pietra, terra e acqua -, per la sua storia-leggenda e per la sua identità, un vero e proprio ossimoro, che tiene insieme una formidabile contraddizione: il fascino della decadenza e la frenesia dell'avanguardia.
Al capoluogo veneto è dedicato l’ultimo progetto di NexoDigital e 3D Produzioni: il film «Venezia. Infinita avanguardia», nelle migliori sale cinematografiche italiane dall’11 al 13 ottobre.
Realizzato con la collaborazione, tra gli altri, della Fondazione musei civici di Venezia, del Fai – Fondo per l’ambiente italiano, del teatro La Fenice e di Villaggio Globale International, grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, il documentario si avvale del soggetto di Didi Gnocchi, della sceneggiatura di Sabina Fedeli, Valeria Parisi, Arianna Marelli e dello stesso  Didi Gnocchi e della regia di Michele Mally.
A consegnarci la memoria della città è Carlo Cecchi, maestro del teatro italiano che ha studiato, conosciuto e lavorato con i grandi intellettuali, registi, letterati e attori della cultura del Novecento. Oltre a lui, nel film, vediamo muoversi per i luoghi più simbolici della città una talentuosa pianista polacca, Hania Rani, tra i fenomeni della scena modern classic internazionale. La giovane donna cerca ispirazione e suggestioni per comporre la colonna sonora del film, in un gioco di rimandi e riflessi tra musei, calli e meraviglie veneziane. A tenere il filo tra questi due diversi sguardi e, soprattutto, tra due differenti generazioni c'è la voce narrante di Lella Costa.
La trama prende avvio dall’immenso patrimonio della città per raccontare i palazzi che ospitano capolavori e oggetti storici, le connessioni artistiche e culturali, i nessi visivi che, viaggiando tra le epoche, vanno a comporre il ritratto di una città futuribile. Scorrono così davanti agli occhi dello spettatore le vedute di Canaletto, le opere di Francesco Guardi, Pietro Longhi, Giambattista e Giandomenico Tiepolo, Vittore Carpaccio, Tiziano, Tintoretto, Veronese. Ma non mancano anche le sculture di Antonio Canova, le fotografie d’epoca di Carlo Naja ed Enrico Fantuzzi, le meraviglie in vetro di Giuseppe Lorenzo Briati, le creazioni contemporanee di Emilio Vedova, gli intarsi di Andrea Brustolon che Balzac soprannominò il «Michelangelo del legno». Ci sono, nel film, anche le variazioni cromatiche dell’inglese William Turner e gli interventi misteriosi di Banksy, uno dei più famosi street artist contemporanei. Si vedono, poi, le strutture architettoniche di luoghi simbolici come il Museo Correr, Ca’ Rezzonico, Palazzo Fortuny, il Caffè Florian e il teatro La Fenice, uno dei templi della musica più belli al mondo. Si focalizza, infine, l’attenzione sul fascino del Canal Grande e di piazza San Marco, sulle suggestioni della Giudecca e del mercato di Rialto, ma anche sulle luci delle isole lagunari di Torcello e Burano e sull’eleganza del Lido.
Raccontare Venezia - lo spiega bene il film - significa anche avventurarsi in un labirinto di storie, tradizioni e stravaganze, in un percorso che spazia dalle trasgressioni del Carnevale alle meraviglie alchemiche delle antiche fornaci e dei laboratori vetrari di Murano, dalla creatività della Biennale con i suoi focus sulle varie arti al Mose con la relativa emergenza ambientale.
Venezia è anche uno scrigno prezioso di racconti che hanno il sapore della leggenda. Come non associare, per esempio, il nome della città al libertino Casanova e alle sue fughe d’amore, all’eccentrica e imprevedibile Peggy Guggenheim e al suo mecenatismo illuminato, a Carlo Goldoni e alle sue pièce che riformarono la Commedia dell’arte, ma anche a Mariano Fortuny e ai suoi tessuti, a John Ruskin e ai suoi taccuini, a Hugo Pratt e  ai suoi disegni, a Sergej Djagilev e Igor Stravinskij, che scelsero la Laguna per il loro riposo eterno. 
Venezia è, poi, anche una città di figure femminili forti e determinate, ben lontane dalle dame imbellettate che ci consegnano tanti dipinti. Il film le racconta in un percorso che spazia da Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata della storia, alle pittrici Giulia Lama e Rosalba Carriera, dalla principessa Sissi alla marchesa Casati Stampa
Ma sono ancora tante le curiosità che la città custodisce tra le pieghe del suo vissuto e che il documentario narra tra connessioni e suggestioni, dall’arrivo in città del Circo Togni coi suoi elefanti sui ponti storici a Carmelo Bene che legge il Manifesto futurista «Contro Venezia passatista». Il perché di tante sfaccettature è ovvio: la città non si è mai fossilizzata nella conservazione di una sola identità storica, ma ha sempre lasciato che il genio e la creatività dei viaggiatori di passaggio e dei suoi stessi abitanti, con estro e trasgressione, continuassero a reinventarla.
Accanto a questi tanti tasselli di una storia indimenticabile, nel film scorrono le testimonianze di storici dell’arte, urbanisti, sociologi, filosofi, curatori, musicisti, scrittori, giornalisti, artisti, nostri contemporanei. Tra di loro ci sono l’artista e attivista cinese Ai Weiwei, la storica dell’arte Gabriella Belli, l’artista tedesco Anselm Kiefer, lo scenografo Pier Luigi Pizzi, lo storico dell’arte Pierre Rosenberg, la figlia di Arnold Schoenberg e moglie di Luigi Nono Nuria Schönberg e Tiziana Lippiello, rettore dell’Università Ca’ Foscari.
Guardare al passato diventa così un modo per affrontare con più decisione le sfida del futuro, per risolvere le emergenze e i problemi che la città si trova a vivere, continuando a essere all’avanguardia nella cultura, nella creatività ma anche nella sostenibilità. Venezia ha sempre fatto così. Ha sempre guardato avanti, mostrando, di secolo in secolo, la sua voglia di essere una città futuribile. La prova? L’affresco «Il mondo novo» di Giandomenico Tiepolo, conservato a Ca' Rezzonico e scelto per la locandina del film, dove la società veneziana del ‘700, accorsa ad ammirare quella sorta di «lanterna magica» che era il cosmorama, si accalca a stupirsi e a nutrirsi delle meraviglie del mondo che verrà, in un gioco di incastri e di illusioni ottiche. Il futuro è la scommessa di Venezia. 

 Informazioni utili

venerdì 2 luglio 2021

Orbetello Piano Festival: la musica conquista la laguna toscana

Dalla terrazza della Polveriera Guzman al teatro vegetale del Botanical Dry Garden di Orbetello, dal chiostro della Torre Saline ad Albinia al Casale della Giannella (oasi del Wwf), senza dimenticare l’affaccio sulla scogliera di Talamone: sono alcuni degli angoli più insoliti e suggestivi della laguna toscana a fare da scenario alla decina edizione di Orbetello Piano Festival.
Ideata da Giuliano Adorno e Beatrice Piersanti dell’associazione Kaletra, la rassegna, in programma dal 3 luglio all’8 agosto, è resa possibile grazie al sostegno dell’Amministrazione comunale di Orbetello e di numerosi partner privati.
A segnare l’avvio della manifestazione, che quest’anno si aprirà anche alla filosofia e all’arte, sarà un concerto al tramonto, alle ore 19:45, con il «Quartetto Sincronie», in un programma che spazierà da Mozart a Robert Schumann.
Si proseguirà quindi, sabato 10 luglio, davanti alla scogliera di Talamone, con il pianoforte di Pasquale Iannone, protagonista di un doppio appuntamento, alle ore 19:00 e alle ore 21:30, sulla terrazza dell’hotel Capo D’Uomo. Mentre domenica 18 luglio è in programma, alla Torre Saline di Albinia, «Ballads», un piano recital di Istvàn I. Székely, anche questo proposto nella formula del doppio spettacolo, alle ore 19 e alle ore 21:30.
Un repertorio lirico squisitamente verdiano, con musiche tratte da «Rigoletto», «Trovatore» e «Traviata», per l’occasione trascritte per pianoforte, sarà, invece, in scena venerdì 23 luglio, sempre a Torre Saline (alle ore 19 e alle ore 21:30), nell’esecuzione del duo pianistico di Aurelio e Paolo Pollice.
Lo stesso palcoscenico ospiterà domenica 25 luglio, alle ore 21:30, «Paradiso XXXIII», un concerto in parole e musica ispirato al XXXIII canto del «Paradiso», parte del calendario «La Maremma per Dante 2021», con cui si celebrano i 700 anni dalla morte di del Sommo poeta.
All’insegna della multidisciplinarità, il festival quest’anno proporrà, per la prima volta, un appuntamento musicale dedicato a uno strumento diverso dal pianoforte: venerdì 30 luglio, alle ore 21:30, Torre Saline ospiterà Floraleda Sacchi con il concerto «Oltremare – Piano for Harp», una serie di trascrizioni per arpa di brani pianistici.
La rassegna accenderà, quindi, i riflettori su due giovani talenti della musica con un doppio appuntamento che, nel meraviglioso Casale della Giannelle, vedrà l’esibizione dei vincitori dell’Orbetello Piano Competition Junior 2021, il contest nato in seno al festival che, in questa sua quarta edizione (che a seguito della situazione pandemica si è svolta on-line), ha visto ben 570 partecipanti da ogni angolo del pianeta. Lunedì 2 agosto si esibirà Veronika Jaklovà, (diciottenne, originaria della Repubblica Ceca), mentre martedì 3 agosto sul palcoscenico salirà Massimo Taddei (diciannovenne, residente in Italia). Nel corso della serata del 3 agosto i due vincitori saranno premiati con una borsa di studio offerta dal Rotary Club Orbetello-Costa d’Argento. Entrambe le serate prevedono un doppio appuntamento, alle ore 19 e alle ore 21:30.
Sarà, poi, il pianoforte di Pietro Di Egidio a segnare uno degli appuntamenti più inconsueti del festival, quello che all’alba di giovedì 5 agosto porterà il pubblico a vivere il risveglio della natura nel bosco di Patanella.
Si sognerà, quindi, con la «musica sull’acqua» della giovane pluripremiata Leonora Armellini, di scena venerdì 6 agosto, alle ore 21:30, alla Polveriera Guzman di Orbetello; mentre domenica 8 agosto, alle ore 21:30, è previsto il gran finale a Torre Saline con «Sturm und Drang», il piano recital di Leonel Morales dedicato a Beethoven e Brahms.
Ma non finisce qui. La decima edizione di Orbetello Piano Festival si arricchisce, infatti, di due interessanti «effetti collaterali». Grazie alla collaborazione con l’associazione «Filosofia in movimento» il calendario di Orbetello Piano Festival ospiterà la prima edizione della rassegna «Orbe-Tech»: quattro appuntamenti dedicati ai temi legati all'influenza di tecnologia e intelligenza artificiale sulla società che vedranno confrontarsi alcuni protagonisti del panorama culturale internazionale come Éric Sadin, Lucio Caracciolo, Bruno Montanari, Giacomo Marramao e Nicola Zamperini. Gli incontri, tutti a ingresso gratuito, avranno luogo a Torre Saline ad Albinia nei giorni di sabato 17, giovedì 22 e giovedì 29 luglio e sabato 7 agosto, sempre alle ore 21:30.
Con Orbetello Piano Festival, negli spazi di Torre Saline, torna, infine, «Forte InContemporanea», manifestazione di arte visiva che proporrà la mostra itinerante «La parola e il tempo», omaggio a Clelia Marchi a cura di Anna Spagna e Daniela Vasta, collettiva «Eco del contemporaneo», nella Sala delle Anfore, e un incontro con l’artista Moira Ricci che, nella serata di giovedì 5 agosto, si racconterà al pubblico con una proiezione video dei suoi lavori. Tra sette note ed «effetti collaterali», la Toscana è pronta per un mese all’insegna della grande arte, ma anche del turismo di qualità, alla scoperta di luoghi di grande fascino nei quali protagonista è la natura con le sue suggestioni e la sua magia.

Informazioni utili
www.orbetellopianofestival.it

martedì 29 giugno 2021

Da Dozza a Riolo Terme, alla scoperta delle Rocche di Caterina Sforza

Quattro edifici medioevali e una donna da leggenda a fare da filo rosso tra di loro: si potrebbe riassumere così il legame fra le Rocche di Imola, Dozza, Riolo Terme e Bagnara, ubicate in uno «spicchio» di terra fra Emilia e Romagna. La donna che fa da collante fra i quattro manieri, comodamente raggiungibili sia in automobile che con un tour in bicicletta di circa settanta chilometri, è Caterina Sforza, la «leonessa delle Romagne», nipote del più importante fra i capitani di ventura, Francesco Sforza, e madre dell’ultimo dei grandi condottieri, Giovanni dalle Bande Nere.
La Rocca di Imola, nel Bolognese, è uno splendido esempio di architettura fortificata tra Medioevo e Rinascimento. Le sue origini risalgono al 1261. Sul perimetro della struttura originaria s’impostavano ben nove torri quadrangolari, solo una decima torre, il mastio, campeggia tuttora al centro del cortile interno. La Chiesa di Roma, le nobili famiglie degli Alidosi, dei Visconti e, poi, dei Manfredi guidarono Imola e la Rocca. È, però, alla fine del Quattrocento che si avviò con gli Sforza la completa trasformazione rinascimentale dell’edificio che proseguì col nuovo signore di Imola Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV e sposo di Caterina Sforza. A partire dal 1480 le torri angolari quadrate vennero inglobate entro nuovi e più spessi torrioni circolari capaci di resistere ai colpi delle bombarde, e si avviò anche la costruzione di una residenza, il Palazzetto. La morte di papa Sisto IV segna l’inizio della crisi della signoria Riario-Sforza sulla città, fino all’assedio della Rocca mosso da Cesare Borgia, detto il Valentino, che nel 1499 decreta il ritorno di un diretto dominio pontificio. Il Valentino ricorre, poi, nel 1502 alla consulenza di Leonardo da Vinci per ispezionare le fortezze romagnole tra cui quella imolese: ne è testimonianza la pianta di Imola che Leonardo stese, dove è ben visibile anche la Rocca. Infine, con l’annessione definitiva di Imola allo stato pontificio si rafforza l’utilizzo degli ambienti della fortezza come carcere, situazione che si mantiene fino al 1958 quando si avviano i restauri e si destina il monumento sforzesco a museo.
La Rocca di Dozza, sulle colline tra Imola e Bologna, è un complesso medievale sorto nel XIII secolo, ancora visitabile all'interno, dove si ammirano la cucina antica, la sala delle torture, le prigioni, i vari appartamenti arredati con mobilio originale e dipinti. Nei sotterranei è ospitata l’Enoteca regionale Emilia Romagna con l’esposizione e la vendita di oltre mille etichette di vino. L’attuale aspetto esterno della Rocca è ascrivibile al tardo Quattrocento, quando Dozza entrò a far parte della Signoria Riario–Sforza. Nel 1473, con un matrimonio dalle forti valenze politiche, Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, si unisce a Caterina Sforza, figlia del Duca di Milano e nipote di Ludovico il Moro. Invece, l’impianto distributivo del palazzo - cortili, atrio, androne e scale - e l’organizzazione del piano nobile, così come oggi ci appaiono, sono in prevalenza riconducibili alla Signoria dei Campeggi che, nella seconda metà del Cinquecento, intraprese massicci interventi di trasformazione allo scopo di trasformare la Rocca da fortezza a sede di rappresentanza diplomatica. Quando il feudo di Dozza fu abolito, la Rocca rimase di proprietà dei Malvezzi-Campeggi che ne fecero la loro residenza fino al 1960.
La Rocca di Riolo Terme, nel Ravennate, è una delle rocche più interessanti del territorio, per lo stato di conservazione in cui si trova. Di fine XIV secolo, questa fortificazione militare appartiene alla tipologia della «transizione», in cui si sommano caratteristiche architettoniche medievali e rinascimentali: il fossato e le caditoie per il tiro piombante, le camere di manovra con le bocche di fuoco per il tiro radente fiancheggiante. Al suo interno si può vivere una vera immersione nella storia, scoprire il Medioevo tramite la vita di Caterina Sforza e il territorio faentino e i suoi insediamenti attraverso i reperti rinvenuti nella vicina Grotta di Re Tiberio. Dai sotterranei ai piani alti, attraverso stretti passaggi, ci si cala nelle avventure dei cavalieri medievali indossando e impugnando gli strumenti utilizzati in battaglia, si scopre il funzionamento delle macchine da guerra e si ascoltano i racconti di Caterina Sforza. Nella sala del pozzo l’allestimento multimediale permanente «I misteri di Caterina», dedicato alle gesta e agli amori di Caterina Sforza, trasporta il visitatore in una realtà interattiva, chiamandolo a interagire con la «Leonessa delle Romagne» in persona. Nel Mastio si trova la sezione archeologica, che ospita reperti databili dall’Età del ferro all’Epoca romana. La sezione del Museo del paesaggio dell’Appennino faentino offre un’ampia visione del paesaggio collinare circostante, con i calanchi e gli affioramenti di gesso, osservabili grazie ai binocoli. Essendo Centro di documentazione del parco regionale della vena del Gesso Romagnola, la Rocca è un importante centro di studi, scoperte e attività, un museo del territorio in evoluzione continua.
La Rocca di Bagnara di Romagna, nel Ravennate, costituisce il fulcro della struttura difensiva del Castello, la cui organizzazione era completata dalla cinta muraria, dalla porta civica, dal Torrioncello, dai terragli e dalle fosse, oltre che cardine del popolamento e del complesso edilizio e abitativo. L’origine della Rocca è di datazione incerta, fu probabilmente costruita da Uguccione della Faggiola nel 1297, per poi diventare possedimento dei Barnabò Visconti. Dopo diverse distruzioni, restauri e dominazioni, venne concessa da papa Sisto IV al nipote Girolamo Riario.
All’epoca del Riario e di sua moglie Caterina Sforza risalgono il restauro e l’ammodernamento della Rocca (1487) e della cinta muraria, le primitive strutture del palazzo signorile e la costruzione del mastio (1494). Conquistata dai francesi nel 1494, tornò poi sotto il controllo degli Sforza che dovettero cedere nel 1500 all’avanzata di Cesare Borgia, detto il Valentino, evento che segnò l’inizio della decadenza della Rocca di Bagnara. La Rocca è una tipica costruzione quattrocentesca in mattoni, di aspetto regolare e compatto, a pianta quadrata, con gli edifici articolati attorno a un cortile. Nell’angolo sud-ovest si trova il mastio, poderoso torrione circolare, che rappresentava la difesa principale dell’intero complesso; sull’angolo opposto c’è il bastione, un’altra torre circolare di dimensioni più piccole, collegata al mastio dalle mura di cinta. Il Signore risiedeva nel palazzo, posto sul lato nord, un lungo corpo di fabbrica a pianta rettangolare, a due piani e dotato di una loggia, la cui funzione era strettamente legata ai compiti di rappresentanza, simbolo di potere e, in quanto tale, garanzia di sicurezza contro gli attacchi nemici.
Per completare e impreziosire il tour delle rocche è possibile vivere esperienze cultural-gastronomiche alla scoperta del territorio: dalle visite narrate ai borghi alle degustazioni di vini e dei prodotti locali in luoghi suggestivi o in accoglienti agriturismi, in piccoli e curiosi musei, sempre in compagnia di esperti che sapranno raccontarne ai visitatori segreti e curiosità.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rocca di Riolo;  [fig. 2] Rocca di Dozza; [fig. 3] Rocca di Bagnara; [fig. 4] Rocca di Imola. Foto Monia M Photo; [fig. 5] Rocca di Riolo 
 
Informazioni utili 
Per informazioni e prenotazioni, tel. 0542.25413 o tel. 0546.71044 | info@imolafaenza.it | sito web: www.imolafaenza.it

giovedì 27 maggio 2021

Tirolo, l’«Organo degli eroi» è lo «Strumento dell’anno 2021». I suoi concerti sono Covid-free

Ogni giorno, alle 12 in punto, a Kufstein, una splendida cittadina del Tirolo, si può ascoltare un concerto, anche se ci trova nel verde della natura, tra boschi e pascoli erbosi. Il merito è dell’organo più grande del mondo, che quest’anno, in occasione del suo novantesimo compleanno, è stato designato «Strumento dell’anno 2021» dal Consiglio musicale dei Paesi di lingua tedesca.
Già patrimonio culturale immateriale dell’Unesco dal 2017, l’organo fu realizzato nel 1931 in memoria dei caduti nella Prima guerra mondiale dal mastro organaro Oscar Walcker e da allora ha sempre suonato ininterrottamente, offrendo in estate anche il bis, verso sera, alla luce del tramonto.
In questi mesi caratterizzati dal distanziamento sociale per la pandemia, a Kufstein, ma non solo, si sono resi conto che l’«Organo degli eroi», questo il suo nome, rispetta da sempre le norme anti-Covid e che le sue note percepite in lontananza, anche a dieci chilometri di distanza, hanno qualcosa di contemporaneo; sembrano parte integrante delle misure per prevenire il contagio.
Il concerto d’organo che ogni giorno riempie la vallata di musica è diventato così un messaggero di speranza a distanza: ognuno può ascoltare le sue melodie mettendosi comodo in un luogo circondato dalla natura o in un angolo della bella cittadina tirolese. Il distanziamento è automatico: c’è (tanto) posto per tutti. Su un sentiero, in mezzo a un prato fiorito, sulla pittoresca Römerhofgasse, sul lungofiume: ogni posto è buono per assistere a un concerto diffuso unico ed esclusivo che, da quasi un secolo, riempie il Kufsteinerland di musica.
L’«Organo degli eroi» si trova nella maestosa torre della fortezza che campeggia su uno sperone di roccia sopra Kufstein. Con i suoi 46 registri e le sue 4.307 canne, è lo strumento all’aperto più grande del mondo. Il suo organista è un giovane musicista, Johannes Berger, che così racconta la particolarità del suo lavoro: «Se gli altri suonatori portano sempre con sé il loro prezioso strumento, nel mio caso sono io che mi reco dall’organo. Non posso esercitarmi a casa, ma devo recarmi alla fortezza per provare. Non posso sbagliare. C’è sempre molta gente in ascolto. Ogni volta che l’organo emette un suono ha sempre un pubblico che lo ascolta, anche passivamente. Non c’è organo al mondo come questo. Va conosciuto perfettamente, in ogni sfaccettatura».
Spesso, il venerdì, alle ore 18:30, Johannes Berger tiene altri concerti, suonando brani tratti dalle colonne sonore di film famosi, opere di Ludwig van Beethoven, musica popolare.
L’acustica migliore si gode sotto la tettoia della piazza antistante la fortezza: da qui si può anche osservare l’organista all’opera e persino chiedergli di suonare il proprio brano musicale preferito.
La straordinaria presentazione musicale dura circa venti minuti e finisce sempre con il pezzo «Der gute Kamerad» («Il buon compagno»). Chi ascolta il concerto a distanza di qualche chilometro, invece, della vista dell’organista, avrà gli occhi puntanti sui bellissimi paesaggi del Kufsteinerland, luoghi dove rigenerarsi e ricaricare le batterie. Si può, per esempio, sostare sotto l'abete secolare dello Steinberg, la riserva naturale del Kaisergebirge, o sulla famosa piattaforma a forma di spirale «Adlerblick», situata a 1.280 metri sul livello del mare e munita di un telescopio speciale che offre una magnifica vista. La musica vi raggiungerà anche lì, perché, come diceva Beethoven, anche «dove le parole non arrivano, la musica parla».

Didascalie delle immagini
[Figg.1] Organo degli eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland; [fig. 2] Manfred Zott suona l'Organo degli Eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland; [fig. 3] Johannes Berger suona l'Organo degli Eroi, Kufstein, Austria. Crediti fotografie: @kufsteinerland
 
Informazioni utili 
www.kufstein.com

giovedì 18 marzo 2021

Una nuova casa per il «Polittico dell’Agnello mistico». Alla cattedrale di San Bavone apre il Visitor Center

«Immensamente prezioso e stupendamente bello»: con queste parole Albrecht Dürer parlava, nel 1521, del «Polittico dell’Agnello mistico», monumentale capolavoro (della grandezza di 470×300 cm) a firma di fratelli Hubert e Jan van Eyck, realizzato tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, nelle Fiandre, dove tutt’oggi è conservato.
La preziosa pala d’altare - caposaldo del Rinascimento fiammingo con i suoi dodici pannelli di quercia con al centro il tema iconografico della redenzione, otto dei quali dipinti recto e verso, - è fresca di uno dei più ambiziosi progetti di restauro intrapresi in Belgio, che ha visto al lavoro negli ultimi sette anni il prestigioso Kik-Irpa - Koninklijk instituut voor het kunstpatrimonium-Institut royal du patrimoine artistique di Bruxelles, sotto la direzione di Hélène Dubois.
L’opera sarà visibile dal prossimo 25 marzo all’interno dell’atteso Visitor Center, avveniristico centro esperienziale dedicato alla cattedrale gotica e alle opere d’arte custodite al suo interno.
Il visitatore vi accederà dalla cripta, che è stata oggetto di un importante lavoro di ampliamento e ristrutturazione. Da qui avrà inizio un tour che permetterà di rivivere la travagliata storia del Polittico, per mezzo di una tecnologia all’avanguardia che si avvale della realtà aumentata.
Il percorso sarà accompagnato da un assistente virtuale, disponibile in nove lingue, che guiderà il visitatore da una cappella all'altra. In ognuna, per mezzo di occhiali speciali o di un tablet di realtà aumentata, sarà possibile vedere l'ambiente circostante, ma l'immagine in 3D si sovrapporrà a quella reale, diventando parte integrante dell'esperienza.
Il Polittico dei fratelli van Eyck sarà collocato, nello specifico, nella Cappella del Sacramento, nel deambulatorio, che è risultato essere il luogo più adatto, essendo sufficientemente spazioso per accogliere la teca in vetro, che garantirà il microclima ottimale per la conservazione dell’opera, ma anche per consentire la visuale sia sui pannelli esterni che interni.
Il progetto di restauro che ha portato alla creazione del Visitor Center, realizzato da Bressers Architects, è stata una sfida importante: in passato, infatti, della cattedrale di San Bavone a Gand era accessibile solo la chiesa inferiore; dal 25 marzo, con l’aggiunta di un nuovo ascensore e di scale, oltre che con la riprogettazione di alcuni degli antichi muri in pietra della cattedrale, anche la cripta, il coro e le cappelle absidali saranno interamente visitabili.
Commissionata nel 1426 a Hubert van Eyck - «maior quo nemo repertus», «pittore di cui non si è trovato uno più grande» - dal nobile Joos Vijd, l’opera fu portata a termine sei anno dopo dal fratello dell’artista, Jan van Eyck. Il passaggio di consegne si nota in un’iscrizione collocata sulla cornice del polittico, che il recente restauro ha confermato essere originale.
Al momento del suo completamento, nel 1432, il lavoro sorprese i contemporanei per la brillantezza, la vivacità e l’utilizzo dei colori, ma anche per i mille dettagli mai superflui delle ventisei scene realizzate, che raffigurano l’Agnello Mistico, simbolo di Cristo, adorato nel giardino del Paradiso da Angeli, Santi, Buoni Giudici, Cavalieri, Eremiti, Pellegrini.
Il Polittico dei fratelli van Eyck ha una storia avventurosa che oggi, grazie al Visitor Center, sarà possibile scoprire. Montato, smontato, disassemblato, venduto, contrabbandato, copiato, censurato, attaccato dagli iconoclasti, nascosto, e addirittura segato – oggetto di ben tredici reati e sette furti -, il dipinto rischiò di andare quasi distrutto in un incendio, scoppiato il 1° giugno del 1640 all’interno della Cattedrale di Gand.
Non sorte migliore ebbe nei secoli successivi, soprattutto in epoca recente. Nel 1794 l’opera trovò, per esempio, sulla sua strada Napoleone Bonaparte, che trafugò i pannelli centrali, restituiti a Gand solo nel 1815.
Durante la Prima guerra mondiale, il dipinto venne nuovamente smembrato, ma con il Trattato di Versailles tutti gli scomparti, anche quelli legalmente acquistati dal mercante Edward Solly nel 1816, per entrare a far parte delle collezioni dei Musei reali di Berlino, vennero restituiti per contribuire al risarcimento che la Germania doveva versare agli Stati vittoriosi e in parziale compensazione per i danni inflitti al Belgio in guerra. 
La storia si ripeté durante la Seconda guerra mondiale quando, come viene raccontato anche nel film «Monuments Men», i nazisti sottrassero l’opera, che era stata trasferita per sicurezza in Francia - in un museo locale a Pau, sui Pirenei francesi-, e la nascosero in una miniera di sale di Altaussee. Qui fu recuperata, nel 1945, dalla Task Force degli Alleati dedicata alla messa in salvo delle opere d’arte europee. Alla cerimonia che sancì il ritorno a Gand i belgi non vollero i francesi, stigmatizzando il collaborazionismo del Governo di Vichy per aver consegnato l’opera ad Adolf Hitler, che voleva esporla nel suo mai nato museo di Linz.
Ecco perché oggi, a causa di queste tante rocambolesche vicende, sembra quasi un miracolo riuscire ad ammirare il polittico in tutta la sua ritrovata bellezza, scoprendone dettagli e curiosità anche grazie alle più recenti scoperte della tecnologia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto; [fig. 2] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto. Polittico chiuso; [fig. 3] Render del nuovo Visitor Center di Gand by De Kwekerij; [figg. 4 e 5] Visitatori a Gand. Foto di Bas Bogaert; [fig. 6] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Particolare Adamo e Coro angelico 

Informazioni utili

giovedì 4 marzo 2021

Punta Conterie, una pausa tra arte e cibo nel cuore di Murano

(Aggiornato il 27 aprile 2020, alle ore 11.00) -Non è stata una ripartenza facile quella di Punta Conterie, l’hub frutto dell’impegno e della visione di Alessandro Vecchiato e Dario Campa nato due anni fa nel cuore di Murano, l’isola simbolo della tradizione vetraria a livello internazionale. Nel 2019 i due imprenditori non solo hanno restituito al comprensorio veneziano, un patrimonio architettonico inestimabile - una delle costruzioni più rappresentative dell’edilizia industriale muranese nel crocevia di navigazione tra il Canale Grande e il Canale San Donato - ma hanno anche dato vita a uno spazio fluido in cui le arti e il cibo, la creatività e l’enogastronomia, si compenetrano stimolando percorsi visivi, culturali e del gusto inusuali.
La riapertura graduale di Punta Conterie, inizialmente prevista per marzo e poi posticipata per l'aggravarsi della situazione sanitaria, si chiuderà sabato 1° maggio con la proposta food and wine dei nuovi menù - à la carte, degustazione, classico o del territorio, vegano - studiati per il «Vetri Restaurant / Bistrot» e per il «Vetri Café» dallo chef, di origini filippine, Johnmark Nanit, sotto la supervisione di Dario Campa. La valorizzazione della materia prima e la ricerca dell’equilibrio di sapori e consistenze giustapposti saranno alla base di piatti unici tra stagionalità e sperimentazione da assaporare in un angolo di Murano carico di storia: il complesso tra Palazzo Giustinian e la Basilica di San Donato che, nel 1891, iniziò a ospitare la Società veneziana per l’industria delle conterie, le minute perle in pasta vitrea ricavate dal taglio di una lunga e sottilissima canna forata arrotondata a caldo in particolari contenitori metallici.
Stessa scuola di pensiero si respira anche nella pasticceria del pastry chef Allaraj Selam: un mix di sapori in equilibrio e consistenze sorprendenti per delle proposte sfiziose solo in apparenza semplici, come un Babà-raj al rum con cannella, liquirizia e gelato al mascarpone o un Bonet e amaretti, gelato al cioccolato fondente 72% con barolo chinato, da accompagnare a centrifugati e estratti di frutta e verdura.
Con l'apertura di Punta Conterie ritornano accessibili al pubblico anche i due store dell’hub muranese: «InGalleria Shop» e «Fioraio Green Boutique».
Con una vasta selezione di prodotti a firma Punta Conterie, il cui filo conduttore è rappresentato dal vetro: piccoli oggetti di design, perle in vetro di Murano, gioielli contemporanei e accessori moda tra tradizione lagunare e alto artigianato, che da qualche mese sono disponibili anche sul nuovo canale di e-commerce di Punta Conterie.
«Fioraio Green Boutique» è, invece, l’angolo green dove poter scegliere tra piante stagionali, composizioni floreali uniche, piccoli oggetti e fragranze d’ambiente ispirati a profumi e colori della natura.
Ad affascinare i visitatori non è solo l’offerta alternativa di questo hub nel cuore di Murano, ma anche la sua costruzione. Il rapporto tra spazi esterni e interni si articola in modo naturale sui due livelli della struttura rinnovandosi in ogni ambiente. Situato al piano terra il «Vetri Café» gode di un ampio plateatico esterno cinto dai tipici mattoni industriali dell’epoca, accanto si apre lo spazio dedicato al green design con affaccio sulle aree industriali delle antiche Conterie. Al primo piano — dove si trovano l’area espositiva «InGalleria» e il «Vetri Restaurant / Bistrot» — la luce naturale rivela i dettagli originali dello spazio come il pavimento in rovere a spina di pesce completamente recuperato e restaurato, le travi a vista del soffitto, i cassonetti alla «sansovino» con i decori floreali anch’essi recuperati e restaurati e i toni grigio scuro e sabbia alle pareti che donano ulteriore profondità alle stanze.
Punta Conterie è anche sinonimo di mostre temporanee di caratura internazionale che raccontano le relazioni tra vetro e design negli spazi di «InGalleria Art Gallery».
Da sabato 10 aprile sono riprese le attività espositive di questa realtà con l'anteprima di «Murano in focus», mostra fotografica con protagonisti Luigi BussolatiMassimo Gardone e Roberta Orio.
Coordinato da Alessandro Vecchiato - anima artistica di Punta Conterie - il progetto presenta complessivamente ventuno opere sull’isola veneziana del vetro, frutto di tre sguardi molto diversi per contenuto, per supporto, per messaggio.
Luigi Bussolati
, chiamato a rappresentare le architetture industriali – che sono i luoghi di lavoro di chi ha costruito la fortuna artistica e commerciale di Murano –, suona le corde dello strumento che più gli è congeniale, e attraverso il suo peculiarissimo uso della luce ci restituisce delle immagini che, pur mantenendo un loro grande peso concreto, ci appaiono come realtà sospese, mondi sconosciuti e al tempo stesso rivelati finalmente nella loro interezza.
Massimo Gardone racconta, invece, mondi immaginari portandoci dentro i suoi «Orizzonti», facendoci sognare immersi negli oceani per poi proiettarci in prospettive costruite da riflessi. Il suo lavoro, stampato su una superficie specchiante, porta lo spettatore dentro l’immagine, permettendogli così di mettere in atto un proprio personale sguardo sulla poetica dell’opera.
Infine, il lavoro di Roberta Orio, punto di unione tra queste due letture – e ponte tra due mondi – concentra la sua visione nelle tracce di chi Murano la vive perché ci abita, perché ci lavora, ci passa del tempo della propria vita, e restituisce segni, parti, sezioni del modo che l’isola veneziana oggi rappresenta. Punta Conterie presenta, dunque, tre mostre in una per uno sguardo corale che è anche un grande omaggio a Murano e alle sue vetrerie, attività che, essendo strettamente connesse al turismo internazionale, hanno risentito più di altre la crisi per il Covid-19.

 
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] PuntaConterie. Foto di Maris Croatto; [fig. 2] PuntaConterie, terrazza del «Vetri Restaurant / Bistrot». Foto di Maris Croatto; [fig. 3] PuntaConterie, «Vetri Restaurant / Bistrot». Foto di Valentina Cunja; [fig. 4] Punta Conterie. Foto di Roberta Orio; [figg. 5 e 6] Punta Conterie, «In Galleria Shop». Foto di Valentina Cunja; [fig. 7] Punta Conterie, «Vetri Restaurant / Bistrot». Foto di Maris Croatto 

Informazioni utili
Punta Conterie, Fondamenta Giustinian, 1 Venezia. Informazioni: tel. 041.5275174, info@puntaconterie.com. Sito internet: www.puntaconterie.com

venerdì 4 dicembre 2020

Crespi d’Adda, da venticinque anni è sito Unesco. Tra i doni per l’anniversario il Museo interattivo delle memorie

Da venticinque anni è uno dei siti italiani dell’Unesco. Era, infatti, il 5 dicembre 1995 quando a Berlino, nella riunione del Comitato per il Patrimonio dell’Umanità, si annunciava che, insieme a Siena, Ferrara e Napoli, anche il villaggio operaio di Crespi d’Adda era stato inserito nella World Heritage List. Si trattava, allora, dell’undicesimo sito in Italia, il terzo in Lombardia e il quinto al mondo per l’archeologia industriale a meritarsi il prezioso riconoscimento.
La motivazione addotta dagli esperti delegati dall’Unesco dettagliava come Crespi d’Adda fosse «un esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, che vide la luce in Europa e nell’America del Nord tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, espressione della filosofia predominante tra gli industriali illuminati nei riguardi dei loro operai».
L’Unesco premiava anche l’integrità architettonica del luogo, fondato nel 1878 intorno al Cotonificio Benigno Crespi, collocato in prossimità del fiume Adda, proprio sul confine tra le provincie di Milano e Bergamo, e più precisamente nel Comune di Capriate San Gervasio.
Il villaggio aveva e ha ancora oggi una struttura molto particolare: l’impianto regolare delle strade e la sua fisionomia urbanistica permetteva e permette di individuare in modo chiaro tutti gli edifici che formano il paese, composto, oltre che dalla fabbrica e dalle abitazioni, anche da strutture sociali e, un tempo, a uso pubblico come il lavatoio, il dopolavoro, l’albergo, il piccolo ospedale, la scuola, il teatro, la chiesa, i bagni pubblici con piscina e il cimitero.
Venticinque anni fa, il villaggio operaio di Crespi d’Adda otteneva il prezioso riconoscimento grazie all’audace iniziativa di alcuni giovani universitari locali, riuniti nel goliardico «Centro sociale Fratelli Marx», in grado, con un supporto più formale che sostanziale da parte delle istituzioni locali, di promuovere e far comprendere al mondo il valore di questo piccolo luogo italiano, insediamento rappresentativo di una cultura industriale divenuta vulnerabile per l’impatto di cambiamenti sociali ed economici irreversibili.
Al fine di tutelare il villaggio operaio dalla aggressione di una spregiudicata speculazione edilizia supportata da una parte della comunità, negli anni Novanta, questi giovani elaborarono, infatti, un «progetto di rivalutazione culturale per Crespi d’Adda», all’interno del quale era previsto, oltre a una serie di azioni di promozione turistica, l’ambizioso progetto di presentare la necessaria documentazione per l’inserimento del sito nella World Heritage List.
Due anni dopo, il sogno diventava realtà e ora questa storia rivivrà in un libro, che vedrà la luce la prossima primavera. L’autore, Giorgio Ravasio, fu testimone di tutta la vicenda che portò all’inserimento del villaggio operaio tra i Patrimoni mondiali dell'Umanità e, in occasione dell'anniversario, ripercorrerà i fatti, togliendosi anche qualche sassolino dalla scarpa. «Voglio raccontare come andarono realmente le cose in quegli anni -dichiara, infatti, l’autore-. Molti si sono arrogati meriti non propri e molti che osteggiarono la nomination sono poi saliti sul carro dei vincitori. Nel mentre, ai veri eroi di questa esperienza non sono mai stati riconosciuti i meriti di questo risultato incredibile. Sarà l’occasione per fare chiarezza su un periodo importantissimo della nostra storia».
Va ricordato che questi venticinque anni non sono sempre stati facili. Nel 2003 il villaggio di Crespi d’Adda è, infatti, stato chiuso definitivamente. Dieci anni dopo, nel 2013, l’imprenditore bergamasco Antonio Percassi lo ha acquisito con l’idea di farne la sede operativa delle proprie aziende nonché un campus dell'innovazione e dell'arte aperto ad altri partner, con un museo e zone espositive accessibili al pubblico.
Il punto centrale dell'esperienza di interpretazione e conoscenza del luogo è oggi l’Unesco Visit Center, dove si trovano la biglietteria, il museo multimediale, l’archivio storico, il bookshop e le aule laboratoriali. Ma per il futuro si hanno in mente tanti altri progetti di valorizzazione, come per esempio la restituzione al pubblico dell’ex edicola, che diventerà un Book crossing point, e del cinema.
Al villaggio Crespi d’Adda, -racconta ancora Giorgio Ravasio- «siamo riusciti a dispetto di tutto e di tutti, a creare valore e a riconsegnare un possibile futuro lavorativo alla discarica dei sogni imprenditoriali della manifattura italiana attraverso l’azione della comunità, o almeno di parte di essa. Mi immagino la Crespi d’Adda 2.0 come a un significativo indirizzo simbolico per l’impresa del futuro: sostenibile, intelligente, visionaria. Una Sylicon Valley bergamasca permeata, densa e carica di cultura, elemento indispensabile per una industria responsabile e di successo che guardi al domani come una sfida colma di possibilità».
Quella di Crespi d’Adda è, dunque, una storia da festeggiare e, Covid-19 permettendo, lo si farà la prossima primavera, con una serie di iniziative che andranno ad affiancare la normale programmazione di visite guidate.
Donatella Pirola
, assessore alla Cultura del Comune di Capriate San Gervasio, promette l’inaugurazione, per il prossimo mese di maggio, dell’Archivio storico che, con il supporto di Fondazione Legler, è stato riordinato, inventariato e catalogato. Per divulgarne il contenuto verrà pubblicato un libro fotografico che valorizzerà le straordinarie immagini fissate sulle lastre di vetro preservate nell’archivio.
Durante il periodo di chiusura forzata per l’emergenza pandemica da Coronavirus, al villaggio operaio di Crespi d’Adda sono riusciti anche a lavorare alla progettazione e alla realizzazione del Museo interattivo delle memorie, a disposizione del pubblico e delle scuole dalla prossima primavera.
Uno strumento in più, questo, per scoprire o riscoprire un luogo significativo della nostra storia industriale, magari iniziando già a progettare una gita fuoriporta per i prossimi mesi, appena l'Unesco Visit Center di Capriate San Gervasio sarà totalmente fruibile e l’allentarsi delle misure restrittive per frenare la diffusione del Coronavirus renderà più liberi i nostri spostamenti.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Crespi d'Adda, Unesco Visitor Centre e Monumento ai caduti - ©Marlin Dedaj, Associazione Crespi d'Adda; [fig. 2] Crespi d'Adda, Ingresso della fabbrica - ©Walter Carrera, Associazione Crespi d'Adda; [fig. 3] Crespi d'Adda, Panorama dal belvedere - ©Walter Carrera, Associazione Crespi d'Adda; [fig. 4] Crespi d'Adda, Massa di operai nella fabbrica - ©Archivio Storico di Crespi d'Adda; [fig. 5] Crespi d'Adda, Sala caldaie - ©Archivio Storico di Crespi d'Adda; [fig. 6] Crespi d'Adda, Spaccio di generi alimentari - ©Archivio Storico di Crespi d'Adda; [fig. 7] Crespi d'Adda, Veduta aerea - ©Archivio Storico di Crespi d'Adda

Informazioni utili
Il luogo è visitabile prenotando una guida al numero 02.90939988 o scrivendo all’indirizzo e-mail a info@crespidadda.it; a partire dal mese di marzo e fino a tutto novembre, ogni domenica e tutti i giorni festive, è aperto un punto informazioni che distribuisce mappe e organizza visite guidate anche senza prenotazione. Per informazioni è possibile contattare anche il Comune di Capriate San Gervasio al numero 02.9091712 o all’indirizzo e-mail info@visitcrespi.it. I siti internet di riferimento sono www.crespidadda.it o www.visitcrespi.it

venerdì 30 ottobre 2020

«Trésors de Venise», trasferta francese per la Fondazione Giorgio Cini

I tesori della Fondazione Giorgio Cini volano all’estero, e più precisamente in Francia. L’istituzione veneziana, che ha sede sull’isola di San Giorgio, ha annunciato, nei giorni scorsi, l’apertura di una mostra sulle opere della sua collezione al Centre d’art Hôtel de Caumont, riferimento culturale e artistico di Aix-en-Provence.
«Trésors de Venise» è il titolo del progetto espositivo, in cartellone dal 17 dicembre al 28 marzo, che vede la curatela di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte, in collaborazione con l’architetto Daniela Ferretti.
Dai dipinti ai disegni, dalle miniature alle stampe, senza dimenticare le sculture, gli avori e gli smalti, il percorso allineerà un’ottantina di opere, inclusi capolavori raramente visibili, consentendo ai visitatori di scoprire il gusto collezionistico, raffinato ed eclettico, di Vittorio Cini, il mecenate che Bernard Berenson definì come «l’italiano più faustiano che io abbia mia conosciuto».
Accanto a nomi della pittura toscana come Botticelli, Beato Angelico, Filippo Lippi e Piero di Cosimo, ci saranno maestri veneziani del calibro di Lorenzo e Giandomenico Tiepolo, Giambattista Piranesi e Giuseppe Porta detto il Salviati.
La mostra presenterà anche opere del Rinascimento ferrarese, in un percorso che spazierà da Cosmè Tura a Ludovico Mazzolino. E permetterà, infine, di vedere lavori di artisti contemporanei quali Vik Muniz, Adrian Ghenie ed Ettore Spalletti, che in anni recenti hanno dialogato con le opere esposte nella casa-museo di Vittorio Cini.
«La mostra ad Aix-en-Provence - spiega il curatore Luca Massimo Barbero - è un primo felice e importante tentativo di proporre a un pubblico internazionale alcuni esempi emblematici delle opere conservate nella casa-museo di Palazzo Cini accanto a una selezione dei tesori di cui il mecenate ha voluto dotare l’Istituto di storia dell’arte con munifica generosità. Percorrere le sale dell’Hôtel de Caumont è, quindi, per il pubblico come godere idealmente di ciò che potranno vedere in una vera e propria visita a Venezia».
L’appuntamento si rivela importante per la fondazione, che il prossimo anno festeggerà i settant’anni di attività, e che così potrà far scoprire anche al pubblico straniero la sua ricca e articolata collezione. 
Va ricordato che Vittorio Cini dotò l’istituzione di opere d’arte provenienti sia dalla sua raccolta personale sia dal frutto di acquisti e donazioni di rilievo. 
Fu proprio grazie alle acquisizioni del mecenate che nel 1962 nacque il pregevole e apprezzato Gabinetto dei disegni e delle stampe, una vera e propria gemma per gli amanti dell’arte. Qui confluirono le collezioni appartenute a Giuseppe Fiocco, Antonio Certani, Elfo Pozzi e Daniele Donghi e il corpus di miniature e manoscritti già Hoepli. 
Ad accrescere ulteriormente la consistenza e l’importanza delle raccolte si sono aggiunti nel tempo i lasciti di personalità della cultura, collezionisti e artisti legati da rapporti di amicizia con il fondatore o persuasi dal prestigio dell’istituzione. 
Non meno pregevole è la raccolta di Palazzo Cini a San Vio, dal 1919 residenza dell’imprenditore e dal 1984 casa-museo in seguito alla donazione da parte della principessa Yana Cini Alliata di Montereale, figlia del mecenate, di un cospicuo gruppo di dipinti toscani, alcune sculture di pregio e diversi oggetti di arte decorativa. 
Nel 1989 si è aggiunto a questo nucleo un gruppo di tavole ferraresi in deposito per gentile concessione dell’altra figlia di Vittorio Cini, Ylda Cini Guglielmi di Vulci; nel 2015 gli eredi Guglielmi hanno, infine, donato al museo altre opere d’arte di pregio, tra dipinti, maioliche e arredi. 
La casa, aperta al pubblico stagionalmente dopo i restauri del 2014, è oggi una tappa obbligata per gli amanti dell’arte insieme agli altri musei del cosiddetto Dorsoduro Museum Mile: la Gallerie dell’Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Palazzo Grassi – Punta della Dogana. 
In tempi di spostamenti difficili a causa dell’emergenza sanitaria per il Covid-19, la Fondazione Cini porta così Oltralpe un angolo amato di Venezia, la Serenissima che conquistò tanti francesi illustri, da Marcel Proust a Claude Monet, e di cui Guy de Maupassant diceva: «esiste una città più ammirata, più celebrata, più cantata dai poeti, più desiderata dagli innamorati, più visitata e più illustre? […] Esiste un nome nelle lingue umane che abbia fatto sognare più di questo?»

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Piero di Cosimo, Madonna con bambino e due angeli, circa 1505–1510, olio su tavola, 163 x 133 cm. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini© Fondazione Giorgio Cini; [fig. 2] Luca Signorelli (?), Madonna con Bambino, circa 1470-1475, tempera su tavola, 61,8 x 53,3 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Giuseppe Porta, detto il Salviati, Resurrezione di Lazzaro, 1540-1545, olio su tela, 162 x 264 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 4] Manifattura veneziana del XV-XVI secolo, Piatto in rame smaltato, rame champlevé smaltato, inciso e dorato, 29,8 cm diametro x 4cm spessore. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Trésors de Venise. La collection Cini. Hôtel de Caumont - Centre d’art d’Aix-en-Provence, 3, rue Joseph Cabassol - 13100 Aix-en-Provence, Francia. Sito internet: www.caumont-centredart.com. Dal 17 dicembre al 28 marzo 2021

mercoledì 21 ottobre 2020

A Milano un ciclo di visite guidate per conoscere «Il teatro scolpito» di Arnaldo Pomodoro

«Il teatro mi dà un senso di libertà creativa: mi sembra, in un certo senso, di poter materializzare la visionarietà». Così Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 23 giugno 1926) parla del suo rapporto con il palcoscenico, che, nel corso della vita, lo ha portato a realizzare costumi e scenografie per più di quaranta spettacoli, dalla tragedia greca all’opera lirica, dalla musica al teatro contemporaneo. Dal 25 ottobre a questo particolare aspetto del fare creativo dello scultore e orafo romagnolo di nascita e milanese d'adozione, noto per le sue grandi sfere di bronzo dislocate in varie parti del mondo, sarà dedicato un ciclo di visite guidate open studio negli spazi, recentemente rinnovati, della Fondazione Pomodoro di Milano.
Maquettes
, figurini, tavole progettuali, fotografie di scena e un costume originale racconteranno ai visitatori un ambito ancora poco conosciuto dell’attività dell’artista, ma sperimentato sin dagli albori. Risale, infatti, al 1954 il premio per il progetto scenico dell’opera teatrale «Santa Giovanna dei Macelli» di Bertolt Brecht al Festival d’arte drammatica di Pesaro. Inizia così un viaggio straordinario e unico che porta Arnaldo Pomodoro a lavorare, per esempio, con Luca Ronconi per il dramma «Caterina di Heilbronn» del poeta tedesco Heinrich von Kleist, nell’allestimento proposto sul lago di Zurigo nel 1972, e con Ermanno Olmi nell’insolito dittico formato dall’opera lirica «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni e da «Šárka» di Leoš Janáček, che va in scena al teatro La Fenice di Venezia nel 2009.
Il teatro è per il maestro romagnolo il luogo principe della ricerca. È lo stesso artista a dichiararlo: «l'esperienza teatrale mi ha aperto nuovi orizzonti e mi ha stimolato a sperimentare anche nel campo della scultura. In alcuni progetti per la scena, soprattutto nel caso di testi classici, ho realizzato grandi macchine spettacolari da cui poi ho tratto vere e proprie sculture. In altri casi ho preso lo spunto da progetti di sculture non realizzate». Macchine teatrali sono, per esempio, quelle costruite per una delle esperienze sceniche più affascinanti del Novecento: l’«Orestea di Gibellina» di Emilio Isgrò, tratta da Eschilo e messa in scena sui ruderi di Gibellina tra il 1983 e il 1985, con la regia di Filippo Crivelli.
Il programma culturale della Fondazione Pomodoro si arricchisce così di un nuovo percorso didattico, in aggiunta a quelli già attivi al «Labirinto» di via Solari 35, alla Fonderia De Andreis di Rozzano, nel centro di Milano con il tour «Pomodoroincittà» e nello stesso Studio Arnaldo Pomodoro, dove ogni mese si svolge un ricco programma di workshop incentrati sulle tecniche della scultura.
Il percorso «Il teatro scolpito» prevede per i prossimi mesi quattro visite guidate, in programma con il seguente calendario: 25 ottobre (ore 11), 8 e 22 novembre (ore 17), 13 dicembre (ore 17).
Questa iniziativa segna un nuovo passo nel progetto globale di conservazione, valorizzazione e promozione dell'archivio e dei suoi contenuti, avviato con la pubblicazione on-going del «Catalogue Raisonné» dell'artista e promosso dalla fondazione milanese con l'obiettivo di favorire una sempre più ampia conoscenza dell'opera di Arnaldo Pomodoro e una piena accessibilità al pubblico del proprio patrimonio materiale e immateriale.
Alla valorizzazione dell'archivio si affianca, poi, quella della collezione attraverso una serie di iniziative diffuse sul territorio, a cominciare dal comodato d’uso triennale del monumentale «Obelisco per Cleopatra», collocato per i prossimi tre anni nel piazzale antistante al Castello Campori di Soliera, nel Modenese.
Per presentare al meglio questo lavoro - progettato nel 1989 in riferimento alla messinscena del dramma storico «La passione di Cleopatra» di Ahmed Shawqi, rappresentato sui ruderi di Gibellina – è stata appena inaugurata a Soliera la mostra «Arnaldo Pomodoro. {sur}face», a cura di Lorenzo Respi. L'esposizione - accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo dedicato alla genesi e all'attuale collocazione dell'«Obelisco» - racconta l'esperienza teatrale di Arnaldo Pomodoro attraverso costumi di scena originali, disegni preparatori, bozzetti scenografici, fotografie e video dello spettacolo «Cleopatra», ma non solo.
Un altro aspetto poco noto dell'attività dell’artista, quello della produzione grafica, sarà, invece, al centro della mostra in programma per novembre alla Galleria d'arte contemporanea «Vero Stoppioni» di Santa Sofia, sull’Appennino Forlivese. L’esposizione, a cura di Renato Barilli, fa seguito alla recente inaugurazione del comodato d'uso quinquennale di un'altra opera monumentale di Arnaldo Pomodoro, «Cono tronco» (1972), da poco collocata sul lungofiume del Bidente nel Parco di sculture all'aperto di Santa Sofia.
Sono, inoltre, in via di definizione altri due importanti comodati di opere, quello al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito del nuovo ordinamento della sezione che racconterà il periodo dagli anni Venti agli anni Cinquanta, e quello agli Horti dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia, che sarà aperto al pubblico come oasi naturalistica e spazio d'arte contemporanea a cielo aperto.
Un programma, dunque, fitto di impegni quello che la Fondazione Pomodoro di Milano ha in cantiere nei prossimi mesi per diffondere la conoscenza di un artista-artigiano che al mondo del teatro ha lasciato le macchine di scena per la «Semiramide» di Gioachino Rossini, andata in scena nel 1982 al Teatro dell’Opera di Roma, la spirale metallica e i costumi vivaci e moderni del «Ballo in maschera» di Giuseppe Verdi, presentato a Lipsia nel 2005, e ancora le scene per l’opera «Teneke» di Fabio Vacchi, proposta nel 2007 al teatro alla Scala di Milano. Lavori dai linguaggi e dalle sensibilità diverse che hanno incontrato lo stesso stile, quello di Arnaldo Pomodoro e del suo inconfondibile «teatro scolpito».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1[ Modellino di scena (scala 1:50) | fiberglass patinato, ottone e legno | da: La tempesta di William Shakespeare, regia di Cherif | Palermo, Cantieri Culturali della Zisa, 7 aprile 1998 | Fotografia Dario Tettamanzi, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 2] Costume di Enea. Tessuto, ottone e fiberglass dorato | da: La tragedia di Didone regina di Cartagine di Christopher Marlowe  | Adattamento e regia di Cherif | Gibellina, Ruderi, 6 settembre 1986 | Fotografia di Pietro Carrieri, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 3] Cavallo per Didone, 1986, legno, piombo e fiberglass - 36 × 76 × 31 cm | Catalogue Raisonné n. 803 | da: La tragedia di Didone regina di Cartagine di Christopher Marlowe, ddattamento e regia di Cherif | Gibellina, Ruderi, 6 settembre 1986 | Fotografia Studio Boschetti, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig.4] Rive dei mari, 1987, fiberglass - 252 × 95 × 29 cm | da: Alceste di Christoph Willibald Gluck, regia di Virginio Puecher | Genova, Teatro Margherita, 26 febbraio 1987 | Fotografia Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 5]  Modellino di scena (scala 1:20), ottone patinato, plexiglass e legno | da: Alceste di Christoph Willibald Gluck, regia di Virginio Puecher | Genova, Teatro Margherita, 26 febbraio 1987 | Fotografia Studio Tettamanzi, courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro; [fig. 6]Arnaldo Pomodoro, Obelisco per Cleopatra. Foto Fotostudio Solierese #1; [fig. 7] Cono tronco, Santa Sofia, 2020. Foto: Nicola Andrucci  

Informazioni utili 
Visite guidate Open Studio - Il teatro scolpito. Dove: Studio Arnaldo Pomodoro, via Vigevano 3 - Milano (cit. 061). Quando: 25 ottobre (ore 11); 8 novembre (ore 17); 22 novembre (ore 17); 13 dicembre (ore 17). Durata: 60 min circa. Costo: biglietto intero € 11,00 / ridotto € 8,00; per adulti (dai 15 anni in su). Acquista i biglietti: https://fondazionearnaldopomodoro.it/visita/visita-open-studio-singoli/. Prenota una visita di gruppo: https://fondazionearnaldopomodoro.it/visita/visita-open-studio-gruppi/. Maggiori informazioni su tutte le attività della Fondazione Arnaldo Pomodoro sul sito: fondazionearnaldopomodoro.it

venerdì 25 settembre 2020

Otto secoli d’arte, quattro musei e un sestiere: a Venezia torna a vivere il «Dorsoduro Museum Mile»

«L’unione fa la forza». Il vecchio adagio trova casa a Venezia, dove è stato appena rilanciato, su basi più solide e concrete, un progetto di rete nato nel 2015: il «Dorsoduro Museum Mile». Itinerari integrati, comunicazione condivisa e sconti sui biglietti d’ingresso alle realtà afferenti al circuito sono le principali novità che, da qualche giorno, accolgono i turisti e gli amanti dell’arte nel sestiere veneziano di Dorsoduro.
Qui, tra il Canal Grande e il canale della Giudecca, ci sono quattro musei che propongono un viaggio lungo otto secoli nella storia dell’arte mondiale: dai capolavori della pittura veneziana medievale e rinascimentale delle Gallerie dell’Accademia ai protagonisti della scena dell’arte contemporanea esposti a Punta della Dogana, passando per le storiche case-museo di due grandi mecenati come Vittorio Cini e Peggy Guggenheim con le loro collezioni.
La prima iniziativa, nata per far fronte alla crisi economica che si sta vivendo in questi tempi mutevoli e complessi a causa del Covid-19, riguarda l’attivazione di una speciale scontistica a beneficio dei visitatori di ognuno dei musei del circuito. Dal 18 settembre è, infatti, sufficiente esibire un biglietto a pagamento di una delle istituzioni coinvolte nel progetto per avere accesso alle altre a tariffe esclusive. Nella fattispecie, chi compra il biglietto in uno dei musei di Dorsoduro o possiede la membership card di una delle istituzioni partner godrà di una speciale riduzione sull’acquisto del titolo di accesso: da 15 euro a 13 euro alla Collezione Peggy Guggenheim, da 15 euro a 12 euro a Punta della Dogana (ma anche nell’altro museo della fondazione Pinault, il vicino Palazzo Grassi), da 10 euro a 7 euro alla Galleria di Palazzo Cini a San Vio, da 12 euro a 9 euro alle Gallerie dell’Accademia.
La speciale scontistica è un invito a godere «dal vivo» i capolavori di una delle città più belle del mondo, confrontandosi con una pluralità di linguaggi artistici che non può che arricchire il pensiero.
Il percorso può partire dalle Gallerie dell’Accademia, una delle più importanti istituzioni museali d’Italia, che conserva al proprio interno la più completa raccolta di arte veneta del mondo, con capolavori realizzati tra il Trecento e l’Ottocento. Bellini, Piero della Francesca, Mantegna, Bosch, Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Tiepolo e Canova sono solo alcuni degli artisti che compongono la raccolta, situata nel complesso comprendente l’ex chiesa e Scuola di Santa Maria della Carità e il convento dei Canonici lateranensi, progettato da Palladio.
Da qui ci si può spostare a Palazzo Cini, raffinata casa-museo sorta nel 1984, che custodisce un prezioso nucleo di opere di Beato Angelico, Filippo Lippi, Sandro Botticelli, Piero di Cosimo e Pontormo, oltre a un raro nucleo di dipinti del Rinascimento ferrarese, con capolavori di Ercole de’ Roberti, Cosmè Tura e Dosso Dossi.
Da questo museo, unico nel paesaggio veneziano, ci si può spostare alla casa di Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, un edificio «non finito» in pietra d’Istria affacciato sul Canal Grande, che al suo interno annovera una delle più complete collezioni per l’arte europea ed americana del XX secolo. Pablo Picasso, Vasily Kandinsky, René Magritte, Jackson Pollock, Joan Miró, Alexander Calder, Marc Chagall, Giorgio de Chirico sono solo alcuni degli artisti presenti nella collezione della mecenate americana.
A chiudere il percorso è un altro museo frutto di mecenatismo: quello di François Pinault a Punta Dogana, che esplora senza sosta i nuovi territori della creatività. 
Un bel progetto di sinergia, dunque, quello rinato a Venezia in uno degli angoli più caratteristici della città, dove le osterie e i bacari, la movida giovanile e i colori vivaci delle piccole attività commerciali fanno da cornice a quattro musei che credono nel potere lenitivo della cultura e hanno capito che, unendo le forze, si può continuare a educare al bello nonostante il Coronavirus. Rete, circuito, sinergia -parole fin troppo abusate nel nostro Paese e spesso vuote di un reale significato- diventano così realtà a Venezia, andando a incidere concretamente sulla vita dei turisti perché in tempi di crisi anche un piccolo sconto può fare la differenza.

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Promo del «Dorsoduro Museum Mile»; [fig. 2] Punta della Dogana. © Thomas Mayer; [fig. 3] © Collezione Peggy Guggenheim. Photo Matteo De Fina; [fig. 4] Gallerie dell'Accademia di Venezia. ©G.A.VE Archivio fotografico – Foto Maddalena Santi  2016. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - Gallerie dell’Accademia di Venezia; [fig. 5] Jacopo Pontormo, Doppio ritratto di amici, 1523-1524. Opera conservata a Palazzo Cini a San Vio. 

Informazioni utili
GALLERIE DELL’ACCADEMIA, Campo della Carità, Dorsoduro 1050 – 30123 Venezia | www.gallerieaccademia.it. PALAZZO CINI A SAN VIO, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – 30123 Venezia | www.palazzocini.it. PEGGY GUGGENHEIM COLLECTION, Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 – 30123 Venezia | www.guggenheim-venice.it. PUNTA DELLA DOGANA, Fondamenta Salute, Dorsoduro 2 – 30123 Venezia | www.palazzograssi.it