ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 29 novembre 2017

Un'«Alice nel paese delle meraviglie» solidale al teatro Manzoni di Busto

Un Coniglio bianco con panciotto e orologio da taschino, un grande Bruco azzurro che fuma il narghilè, un’irosa Duchessa che culla un maialino, un Cappellaio tutto matto e una Regina di cuori con la mania delle decapitazioni: gli improbabili e surreali personaggi nati dalla penna di Lewis Carroll troveranno casa per un giorno al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Mercoledì 6 dicembre, alle ore 16 e alle ore 21, la sala di via Calatafimi ospiterà una riduzione scenica del romanzo «Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie», nuovo allestimento della compagnia «Il Nodo Teatro» di Desenzano del Garda, per la regia e la traduzione di Raffaello Malesci.
Sul palco saliranno Elisa Benedetti, Danilo Furnari, Fabio Tosato, Silvia Pipa, Giuseppe Sacco, Giorgio Mosca, Fiorenzo Savoldi, Adele Draisci, Stefano Maccarinelli, Silvia Lobertini, Luca Vassalini, Matteo Mario e Michele Zanola.
L’appuntamento è promosso dall’agenzia teatrale «Premier Show» di Alessandria per conto dell’associazione «DottorSorriso», una onlus nata nel 1995 con la missione di rendere più serena la degenza dei bambini in ospedale attraverso la clownterapia.
Nato in abbozzo il 4 luglio 1862, durante una gita in barca sul Tamigi, con la piccola Alice Liddell e le sue due sorelle, Edith e Lorina (le tre figlie di Henry George Liddell, decano del Christ Church College di Oxford), il racconto «Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie» di Lewis Carroll, pseudonimo di matematico e reverendo Charles Lutwidge Dodgson, venne pubblicato a Londra tre anni dopo, nel 1865.
Il successo fu immediato in tutto il mondo (la prima traduzione italiana data al 1872) e la storia affascina ancora oggi la fantasia dei più piccoli, ai quali offre -scrive il traduttore e letterato Piero Pignata- «l’opportunità di vedersi ricreato davanti il mondo quale essi, più o meno consciamente, se lo raffigurano, libero da ogni legame logico».
Il «paese delle meraviglie» è, infatti, un luogo nel quale l’immaginazione e il paradosso regnano sovrani, dove le percezioni spaziali e temporali vengono stravolte e dove tutte le leggi del buon senso non trovano casa. Ed è proprio un sogno quello che porta Alice, una bambina di sette anni dalla curiosità vivace e dallo spirito intraprendente, a inseguire un Coniglio bianco dagli occhi rosa e dal passo svelto, con tanto di panciotto e orologio da taschino, in un luogo solo all’apparenza normale, con aiuole tutte fiorite e fontane zampillanti, dove è possibile cambiare la propria altezza con una facilità sorprendente, solo assaggiando pasticcini speciali, funghi magici e sciroppi dal sapore di «torta alle ciliegie, crema, ananas, tacchino arrosto, caramello e perfino toast col burro».
La bambina si troverà, poi, a fare conoscenza con tanti altri personaggi «colorati ed evanescenti» come il ghignagatto dal sorriso stampato, il caustico grifone, la melanconica tartaruga, il flemmatico re di cuori, la regina con la smania di decapitare tutti i suoi sudditi, la Lepre marzolina e il Cappellaio matto, fino al brusco risveglio finale.
Il «paese delle meraviglie», luogo che ha il suo senso nel nonsense, si dissolve così magicamente, lasciando il posto alla realtà di tutti i giorni. La piccola dovrà continuare a confrontarsi con il conformismo e il convenzionalismo di una società, quella vittoriana, dove le stravaganze e le fantasticherie sono messe al bando, confinate negli spazi più reconditi dell'anima.
 «Le folli avventure di Alice -racconta Raffaello Malesci- hanno una connotazione molto inglese con i vari riferimenti all’ora del tè, al gioco del croquet e ai verdi giardini dell’immaginario anglosassone». La storia è anche ricca di spiritosi giochi di parole e di canzoncine divenute popolarissime in area anglosassone (la filastrocca «The Queen of Hearts» è, per esempio, citata in «Mary Poppins»).
«Le avventure di Alice – ricorda ancora Raffaello Malesci- sono infinite e cangianti e hanno stimolato innumerevoli trasposizioni teatrali e cinematografiche. Noi ci siamo divertiti a cercare la nostra Alice che si perde nella vastità delle fantasie di Lewis Carrol. Una storia ingarbugliata come un gomitolo, che abbiamo attualizzato, cercando di trovare il bandolo dell’infinita avventura di Alice, ma sperando sinceramente di non trovarlo affatto, come era verosimilmente nelle intenzioni dell’autore. Perché le avventure di Alice devono sempre potersi dipanare nuove e inaspettate nella fantasia di ciascuno di noi».

Informazioni utili
«Alice nel paese delle meraviglie». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio. Quando:  mercoledì 6 dicembre 2017, ore 16.00 e ore 21.00. Ingresso: il costo del biglietto, il cui incasso sarà in parte devoluto all’associazione «DottorSorriso» onlus di Lainate (Milano), è fissato ad euro 20,00 per la replica pomeridiana ed euro 25,00 per quella serale; per entrambi gli appuntamenti è stato pensato un biglietto ridotto per i bambini dai 3 ai 15 anni di euro 15,00. Informazioni e prenotazioni:  tel. 393.1020800 o premier@premiershow.it.

martedì 28 novembre 2017

Genova, al Teatro della Tosse un festival sulla danza come strumento di indagine sociale

Riflettori puntanti sulla danza al Teatro della Tosse di Genova, dove fino a domenica 10 dicembre va in scena «Pubblico corpo», terza edizione di «Resistere e creare», rassegna a cura di Michela Lucenti, coreografa in residenza dal 2015 negli storici spazi di Sant’Agostino, che guarda all’arte coreutica come strumento privilegiato di indagine sociale, estetica e politica.
Sedici spettacoli, di cui cinque in debutto nazionale o anteprima, e numerosi laboratori dedicati ai professionisti e non compongono il cartellone, che individua due tematiche come fili conduttori: «identità del singolo nella relazione con l’altro» e «comunità in un territorio». Campo di indagine di questa edizione della rassegna, il cui manifesto utilizza una foto di Jacopo Benassi con una carismatica Asia Argento, è, dunque, quello della relazione, fra due o fra molti, tra l’artista, il suo pubblico e, in alcuni casi, la critica.
Ad aprire il programma sarà, nella serata del 28 novembre, l’anteprima della performance «Autoritratto di un mammifero» di Jacopo Benassi, con le musiche dal vivo di Calibano; a seguire (intorno alle ore 19.45 e, in seguito, tutti i giorni della rassegna in varie fasce orarie) Balletto civile presenterà, in debutto, «Impronte», improvvisazioni accidentali di “relazione fisica” tra i danzatori della compagnia diretta da Michela Lucenti e chiunque, giovane o anziano, danzatore o no, voglia sperimentare liberamente il movimento in un contesto protetto ed eccezionale. Sempre nella giornata inaugurale, e in replica il 29 novembre, sarà possibile assistere ad «Alfa» di Aldes, il gruppo diretto da Roberto Castelli, con cinque danzatori impegnati nell’indagine sull’identità maschile e la sua costruzione, sul potere e ruoli dominanti.
Giovedì 30 novembre è la volta di «MODIdiDà», esiti di un laboratorio per ragazzi dai 15 ai 20 anni sui poliedrici approcci alla danza contemporanea, condotto da Nicoletta Bernardini, Veronique Liaudat e Claudia Monti. Nella stessa serata ci sarà anche «After party» del Collettivo Poetic Punkers, diretto da Natalia Vallebona: un punto di vista sulla decadenza della donna contemporanea, che si chiuderà con un vero DJ Set.
Il 2 dicembre ci sarà, invece, l’evento «Happy hour» di Alessandro Bernardeschi e Mauro Paccagnella, che partendo da una collaborazione e un’amicizia ventennale, danno vita a un progetto coreografico in progress, itinerante, che si costruisce attorno a una serie di residenze e prevede la presenza di danzatori che avranno preso parte ad un workshop intensivo (in cantiere nella giornata del 1° dicembre). I due interpreti-danzatori ripercorreranno, attraverso dieci coreografie e un dialogo costante e diretto con il pubblico, le loro vite e i loro ricordi di teenagers cresciuti negli anni ‘70 in Italia.
Domenica 3 dicembre il Teatro della Tosse ospiterà, quindi, «Lo schiaccianoci» dei Natiscalzi, opera fantastica in atto unico per ensemble di danzatori e tappeto elastico, che vedrà anche la presenza di dieci bambini del coro delle voci bianche del Teatro Carlo Felice. A seguire, nella stessa serata, è previsto il pluripremiato spettacolo «Quintetto» di TIDA - Théâtre Danse. Il giorno successivo Emanuela Serra, storico membro di Balletto Civile, presenta «Just before the forest», un lavoro sulla relazione, sulla solitudine, il tentativo di orientarsi e di essere trovati al quale fa da filo rosso «La notte poco prima della foresta» di Koltès perché il tema dello spettacolo è lo «straniero» non inteso come nato in un altro paese ma come persona che «perde» un senso di appartenenza e cerca suoi simili.
Mercoledì 6 dicembre il palcoscenico sarà occupato da uno spettacolo in debutto nazionale: «Lunaticus» (parte I) – «Tilietulum» (parte II), opera aperta di soundpainting che nasce dall’incontro fra Giancarlo Locatelli e quattro danzatori -Clelia Moretti, Claudia Monti, Federica Tardito e Aldo Rendina- e che si avvale del fondamentale contributo di Cristiano Calcagnile, Andrea Grossi e Pietro Bologna.
Il giorno successivo il Teatro della Tosse ospiterà «Gli Uomini»: tre solo di Yoris Petrillo, Simone Zambelli, Demian Troiano Hackman intitolati rispettivamente «Nothing to declare», «Non ricordo», «I walk slowly into the wind», quest’ultimo in debutto nazionale.
Venerdì 8 dicembre i riflettori saranno, quindi, puntati su Joerg Hassmann, che incontrerà il pubblico nel corso di un workshop per danzatori esperti sulla contact improvisation (in programma dal 7 al 10 dicembre).
Seguiurà un approfondimento in quattro appuntamenti sulla vita e la poetica di Anna Halprin, danzatrice, coreografa, insegnante di fama mondiale oggi ancora in attività (all’età di 97 anni), che ha formato intere generazioni di danzatori e coreografi di tutte le nazionalità sul principio del LifeArtProcess, che integra nella pratica del danzatore tutte le altre arti e le più avanzate ricerche della somatica. Halprin ha ridefinito l’arte moderna attraverso la convinzione che la danza possa trasformare l’essere umano e guarirlo a qualsiasi età.
L’inserzione inizierà con il debutto nazionale di «Me myself and I» della Compagnia Itinèrrances, per l’ideazione di Christine Fricker, e proseguirà con la proiezione del film «Le soufle de la danse» di Ruedi Gerber.
Sabato 9 dicembre ci sarà un ulteriore momento di approfondimento sulla Halprin con una masterclass diretta da Yendi Nammour, una conferenza danzata a cura di Aude Cartoux e Yoann Boyer e la proiezione del video «Danser la vie», edito da Contredanse, che illustra la ricerca e metodologia di lavoro sviluppata dalla danzatrice americana.
In serata sarà possibile vedere «Salvaje», una carrellata di immagini che espongono, anche in modo crudo, quell’impulso distruttivo in cui emerge l’idea di strumentalizzare l’altro da sé. Attraversando queste emozioni (che si trasformano in stati fisici, danze concitate e immagini disturbanti), accettandole e vivendole senza giudizio per quelle che sono, le performer arrivano a una catarsi, a una necessità di condivisione.
A chiudere la rassegna sarà, nella serata del 10 dicembre, «Danse de nuit» di Boris Charmatz, danzatore e coreografo di fama mondiale, direttore del Musée de la dance di Rennes, celebrato per il suo approccio innovativo alla danza contemporanea. Lo spettacolo, con Magali Caillet-Gajan, sarà in uno spazio urbano della città che sarà comunicato agli spettatori via sms.
Un cartellone, dunque, di grande interesse quello della nuova edizione di «Resistere e creare», che racconterà attraverso vari eventi la danza come strumento di indagine sociale e politica.

Informazioni utili
«Pubblico corpo» - III edizione del festival «Resistere e creare». Teatro della Tosse, piazza Renato Negri, 6 – Genova. Programma: http://www.teatrodellatosse.it/?s=2&id=36. Dal 28 novembre al 20 dicembre 2017.

lunedì 27 novembre 2017

A Torino una mostra sul «Ritratto di Massimo D’Azeglio»

Nel 2016 la Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris ha acquistato per la Gam – Galleria d’arte moderna di Torino un capolavoro della cultura romantica sinora noto come «Autoritratto» di Massimo d’Azeglio.
L’acquisizione ha posto le basi per uno studio sul dipinto. Si è così tentato di rispondere a varie domande che sono sorte durante il lavoro di ricerca: si tratta realmente di un «Autoritratto» o piuttosto di un «Ritratto»? E se è così, chi ne è l’autore? Per chi fu eseguito? A quale tipo di gusto collezionistico appartiene? Quando fu presentato per la prima volta? Cosa ci restituisce della cultura del suo tempo?
Il risultato della ricerca, che ha ricostruito la storia del dipinto anche in relazione viene presentato, dal 29 novembre al 25 febbraio, in una piccola mostra allestita da Virginia Bertone, con Alessandro Botta, negli spazi della Wunderkammer della Gam di Torino.
Il percorso dell’esposizione, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito dalla Fondazione De Fornaris, invita il visitatore a ripercorre le fasi cruciali della ricerca, presentando venti capolavori della cultura figurativa romantica, di cui almeno dieci mai esposti a Torino, insieme a fotografie d’epoca, manoscritti e documenti originali, che portano a svelare il mistero del dipinto.
L’opera può essere oggi restituita a Giuseppe Molteni (1800-1867), uno dei maggiori ritrattisti della Milano romantica, che fu legato da un rapporto di stretta e duratura amicizia con Massimo d’Azeglio (1798 – 1866).
Dopo un lungo soggiorno a Roma, d’Azeglio era tornato a Torino nel 1829 per trasferirsi definitivamente a Milano nel marzo del 1831. Poco dopo il suo arrivo l’artista chiedeva la mano della primogenita di Alessandro Manzoni, Giulia, che avrebbe sposato nel maggio del 1831. Accanto ad un sincero affetto, d’Azeglio non trascurava i benefici che potevano derivare alla sua carriera dall’appartenenza ad una delle famiglie culturalmente più in vista della città. Quello stesso anno egli si presentava con successo all’esposizione di Belle Arti di Brera, ponendo le basi per consolidare la sua affermazione artistica.
A quel felice periodo corrisponde la selezione delle opere in mostra, che si concentra su dipinti realizzati entro gli anni 1831-1836, periodo che vide una singolare collaborazione tra d’Azeglio e Molteni sul piano artistico e commerciale.
Lo testimonia un interessante acquerello di Francesco Gonin, realizzato a Milano nello stesso 1835, che raffigura d’Azeglio intento a dipingere nell’ampio e confortevole atelier di Giuseppe Molteni: sul cavalletto si riconosce la grande tela «Bradamante che combatte col mago Atlante per liberar Ruggero dal castello incantato», che avrebbe presentato a Brera quello stesso anno. Tra le tele poste sullo sfondo è riconoscibile il grande «Ritratto di Alessandro Manzoni», pervaso di impeto romantico, realizzato a quattro mani da due artisti (Molteni per la figura, d’Azeglio per lo sfondo che rievoca le sponde del lago di Como), ma che Manzoni non permise mai di esporre.
Questa tela, raramente concessa in prestito per la sua fragilità, si affianca in mostra a un altro capolavoro, per la prima volta esposto a Torino: si tratta del monumentale «Ritratto della famiglia Belgiojoso», eseguito da Molteni ed esposto a Brera in quello stesso 1831.
Si tratta di un dipinto di grande interesse poiché rinnova l’impianto tradizionale del ritratto di famiglia e che qui assume un particolare rilievo essendo intimamente legato alla committenza del dipinto protagonista.
Il «Ritratto di Massimo d’Azeglio» offre, quindi, lo spunto per ripercorrere un momento centrale nella carriera dei due artisti. Attraverso l’intensità dello sguardo il ritratto restituisce tutto il fascino di un artista maturo - d’Azeglio aveva compiuto 37 anni - che aveva ormai assunto a Milano un indiscutibile ruolo di primo piano. Con effetto attentamente studiato, la figura si staglia sullo sfondo che trascolora dall’arancio all’azzurro creando una sorta di icona dell’artista romantico. Altrettanto interessante è la scelta di rappresentarlo non con pennello e tavolozza, o all’interno dello studio, ma esaltandone le doti intellettuali, una variante che in Italia non aveva ancora molti precedenti, ma che per il talento di d’Azeglio, che si era già autorevolmente affermato nella pittura e nella scrittura, riusciva calzante.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Molteni (Affori, MI 1800 – Milano, 1867), «Ritratto di Massimo d’Azeglio (Ritratto d’uomo)», 1835. Olio su tela, 50,5 x 43,5 cm. Acquisto Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris, 2016. Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; [fig. 2] Giuseppe Molteni (Affori, MI, 1800 – Milano, 1867) - Massimo d’Azeglio (Torino, 1798 – 1866), «Ritratto di Alessandro Manzoni», 1835. Olio su tela, 103 x 80,5 cm. Milano, Biblioteca Nazionale Braidense; [fig. 3]  Giuseppe Molteni (Affori, MI 1800 – Milano, 1867), «Ritratto di Alessandro Manzoni», 1835 circa. Carboncino su carta, 485 x 345 mm. Torino, Collezione privata

Informazioni utili
Un mistero svelato: «Il ritratto di Massimo D’Azeglio». Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 – Torino. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 – 011.4436907, email: gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.gamtorino.it. Dal 29 novembre al 25 febbraio 2018.

sabato 25 novembre 2017

«I luoghi del cuore», al via i lavori in ventiquattro beni

Sono ventiquattro i progetti di intervento e valorizzazione che il Fai – Fondo per l’ambiente italiano ha deciso di sostenere a un anno dalla chiusura dell’ottava edizione del censimento «I luoghi del cuore», che ha visto gli italiani votare per quei tesori, paesaggi e monumenti, che rappresentano per loro un simbolo delle proprie origini e tradizioni. Otre un milione e cinquecento mila persone espresse il proprio parere nel 2016 chiedendo di salvare o di proteggere luoghi, spesso considerati minori, ma di fondamentale valore identitario per le comunità di riferimento. Di questi ne sono stati scelti appunto ventiquattro, situati in quindici regioni italiane, per i quali sono stati stanziati complessivamente 400mila euro.
I primi interventi riguardano i vincitori del censimento: il Complesso monumentale di Bosco Marengo (Alessandria), posizionatosi al secondo posto della classifica e che grazie a un contributo di 40mila euro completerà l’allestimento al suo interno di un museo vasariano con ventotto nuove opere attualmente in deposito, e le Grotte del Caglieron a Fregona (Treviso), classificatosi terzo, che beneficerà di un intervento di 30mila euro.
Non sono, invece, state prese ancora decisioni in merito al bene classificatosi per primo, il Castello di Sammezzano a Reggello (Firenze), che si trova in una situazione particolare: in seguito all’annullamento dell’asta dello scorso 9 maggio, che aveva visto l’assegnazione del bene a una società araba, la proprietà è tornata al custode giudiziario e, in attesa di sviluppi chiari circa il nuovo proprietario e i suoi progetti, è stato congelato il contributo di 50mila euro già stanziato.
Tra i beni che si sono aggiudicati un contributo vi è anche quello più votato nelle filiali Intesa San Paolo: il Tempietto di San Miserino a San Donac (Brescia), che riceverà 5.000 euro destinati a migliorarne la fruibilità.
Gli altri ventuno luoghi sono stati scelti nell’ambito delle «Linee Guida per la selezione degli interventi», rivolto agli oltre centonovanta beni che hanno ricevuto almeno 1.500 segnalazioni, settantasette dei quali hanno presentato una richiesta di intervento. Le proposte sono state vagliate da una commissione composta da archeologi, architetti e storici dell’arte, secondo otto parametri di valutazione: numero di voti al censimento, qualità e innovazione del progetto proposto, possibilità di effettuare un intervento significativo e duraturo, valenza storico e artistica o naturalistica, importanza per il territorio di riferimento e urgenza dell’urgenza.
Fra questi luoghi si annoverano, per esempio, l’area archeologica di Capo Colonna (Crotone), la spiaggia di Randello a Ragusa, l’Anfiteatro Augusteo di Lucera (Foggia), il Santuario internazionale per i cetacei del Mediterraneo e la Chiesa rupestre del Crocifisso a Lentini, nelle campagne siciliane, con i suoi affreschi di struggente bellezza.
Ma il lavoro del Fai non finisce qui. L’obiettivo è di poter gettare nuova luce su tanti altri luoghi italiani. Non resta, dunque, che aspettare il maggio 2018 quando verrà lanciata la nuova edizione del censimento, un’occasione per raccontare la propria Italia del cuore.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiesa rupestre del Crocifisso, Lentini (SR) - Foto di Fabio Fortuna © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [ fig.2] Complesso di Santa Croce, Bosco Marengo (AL) a - Foto di Jonathan Vitali © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Pelagos – Santuario internazionale per i cetacei del Mediterraneo

Informazioni utili
www.iluoghidelcuore.it

giovedì 23 novembre 2017

Venezia, all’auditorium «Lo Squero» il Premio Torta per il restauro

«La trasformazione dello Squero in sede di concerti attraverso un accurato ed elegante intervento, che mette in luce un’ottima acustica, è un appropriato riuso nel rispetto della struttura originale e, soprattutto, un ideale collegamento tra l’isola e la città attraverso la musica»: è questa la motivazione con la quale la Fondazione Giorgio Cini di Venezia si è aggiudicata la XXXIV Premio «Pietro Torta» per il restauro architettonico di Venezia, la cui commissione era presieduta da Maria Camilla Bianchini d’Alberigo.
L’intervento di recupero della struttura, di edificazione ottocentesca, che un tempo ospitava l’antica officina per la riparazione delle barche e che oggi è una sala concerti in grado di ospitare circa duecento persone è stato eseguito dallo studio di architettura veneziano Cattaruzza e Millosevich Architetti Associati, con il contributo del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e della Fondazione Virginio Bruni Tedeschi, ente dedicato al figlio del compositore Alberto Bruni Tedeschi di cui la fondazione Cini conserva l’archivio personale tra i fondi dell’Istituto per la Musica.
Il restauro dello Squero -che aggiunge un importante tassello nel piano di recupero del complesso architettonico dell’Isola di San Giorgio Maggiore, iniziato più di una decina di anni fa- si configura, dunque, come un perfetto esempio di collaborazione tra pubblico e privato. Oltre ai due enti già citati la riqualificazione dello spazio, la Fondazione Giorgio Cini ha potuto vantare l’aiuto di varie benefattori e della Fondazione Enzo Hruby, attraverso la progettazione di un sistema di sicurezza integrato di ultima generazione proseguendo, così, nell’impegno iniziato nel 2009 per la messa in sicurezza delle strutture.
Gli interventi conservativi hanno consentito il recupero integrale della spazialità dell’edificio ottocentesco: sono state eliminate tutte le parti interne, riaperti gli archi sulle facciate, eliminate le chiusure sui lati corti. È stata anche rifatta la copertura, dalla quale sono state eliminate le tegole marsigliesi, sostituite da coppi tradizionali. Grazie alla sua eccezionale acustica e alla sua posizione privilegiata che si affaccia direttamente sulla laguna, lo Squero dell’Isola di San Giorgio Maggiore è uno spazio unico che accorda perfettamente musica e immagine. Di fronte alla platea e alle spalle dei musicisti, infatti, le pareti di vetro, come quinte naturali, aprono uno straordinario scorcio sulla laguna offrendo allo spettatore la possibilità di vivere l'esperienza unica di un concerto «a bordo d'acqua».
Grande è la soddisfazione della Fondazione Giorgio Cini per questo riconoscimento. «Per noi il Premio Torta ha un significato speciale -ha, infatti, spiegato il presidente Giovanni Bazoli-. Nel 1975 lo stesso premio venne infatti assegnato a Vittorio Cini. Averlo vinto quest’anno significa anche avere la conferma che siamo stati all’altezza del suo modello. Ed è proprio a Vittorio Cini che dedichiamo questo riconoscimento, nella convinzione che non ci sia modo più degno di celebrare la ricorrenza dei quarant’anni dalla sua scomparsa».

Informazioni utili 
Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia, tel. 041.2710357, fax 041.2710221. Sito internet: www.cini.it.

martedì 21 novembre 2017

Riapre a Venezia la fornace Orsoni

Dagli smalti e dalle piastre d’oro antico per i mosaici che decorano la Basilica di San Marco a Venezia alle preziose tessere per il grande Buddha del Wat Phikhun Thong Temple in Thailandia, senza dimenticare le decorazioni per la Sagrada Familia fatta costruire dall’architetto Antoni Gaudì a Barcellona o le colorate realizzazioni per i meravigliosi palazzi da mille e una notte dei reali dell'Arabia Saudita: sono tante le referenze prestigiose legate al nome Orsoni.
La prestigiosa fornace, nata nel lontano 1888 a Cannaregio e unica di questo tipo in centro storico, è tornata da poco a brillare dopo un importante lavoro di restauro architettonico a firma dello studio Duebarradue, già noto in città per aver contribuito al recupero conservativo del Fondaco dei Tedeschi e delle Procuratie Vecchie.
Veneziani e turisti potranno così tornare ad ammirare la Biblioteca del Colore, una sala espositiva che conserva più di tremila e cinquecento colori, debitamente codificati in un numero sconfinato di tonalità e sfumature: un luogo di rara bellezza che, in un’epoca velocizzata e spesso semplificata dal digitale, è uno strumento di comunicazione fortissimo per i progettisti, per gli artisti ma anche per gli appassionati di arte storia e cultura.
Per il restauro, lo studio Duebarradue si è avvalso di fornitori d’eccezione quali i tendaggi di Rodolfo Bevilacqua o i serramenti di Lunardelli o brand di punta del made in Italy nel settore arredo quali Roda e Cappellini.
Nella nuova visione della fornace ci sarà grande attenzione per la tradizione artigiana, cifra stilistica che ha resa questa azienda un’eccellenza nel mondo a partire dal lavoro del suo fondatore, Angelo Orsoni, un uomo realmente innamorato delle misteriose alchimie di un materiale nobile e prezioso come il mosaico, parte fondamentale nella storia artistica veneziana. Quella di Orsoni fu una scommessa caratterizzata fin dall'inizio dal successo. Le tessere della sua fornace, realizzate con tecniche ardite che coniugavano metodologia artigianale e innovazione, conquistarono, infatti, la mitica Esposizione Universale di Parigi, dove il pubblico poté scoprire il suo pannello multicolore della fornace, campionario di smalti e ori musivi. La nuova stagione, capitanata da Riccardo Bisazza, porterà anche a un rinsaldato dialogo con la città, rendendo questo luogo dal fascino senza tempo un punto di interesse per i giovani artisti dell’arte vetraria. Da qui è nata la collaborazione con la Biennale, che ha portato all’esposizione nel Padiglione Venezia del vetro con micro-diamanti, nella inedita tonalità black che segue la versione "chiara" che ha spopolato a Milano al FuoriSalone - Milano Design Week.
Turisti e veneziani potranno visitare la fornace in due appuntamenti fissi al mese,  il primo e l’ultimo mercoledì, esclusi i giorni festivi. Le visite, tutte a titolo gratuito, si terranno su prenotazione a visit@orsoni.com e saranno riservate a gruppi di massimo venti persone, comprese le scolaresche a partire dalla prima media. La Orsoni offre così un'occasione al suo pubblico per accostarsi a progetto innovativo e rivoluzionario che interpreta al meglio la filosofia di una azienda che dalla sua prestigiosa storia trova slancio per un futuro di ricerca e sviluppo sempre nel segno dell'esclusività.

Informazioni utili
http://trend-group.com/orsoni/index.php

domenica 19 novembre 2017

Anton Domenico Gabbani e la pittura tardo-barocca toscana in mostra a Pistoia

Prosegue il cartellone di iniziative ideate per Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017. Il Museo civico ospita fino al prossimo 7 gennaio una mostra a cura di Riccardo Spinelli intorno all’opera «Presentazione di Gesù al Tempio» di Anton Domenico Gabbiani.
La tela, proveniente dalla chiesa benedettina di Santa Maria degli Angeli di Sala, venne commissionata all’artista nel 1709 ma consegnata solo dieci anni più tardi, nell’agosto del 1719. L’opera venne studiata e preparata dal pittore fiorentino in due tempi: una «prima idea» della composizione generale, veloce e abbreviata nel tratto, e un vero e proprio bozzetto su carta, finito e quadrettato per il riporto su tela. Entrambi vennero incisi per cura dall’allievo Ignazio Enrico Hugford nella «Raccolta di cento pensieri», edita nel 1762 a corredo di un’importante biografia del pittore nella quale si descrive e commenta anche il dipinto pistoiese.
Facendo perno sulla pala del Gabbiani, la mostra dà conto dell’importanza della cultura tardo-barocca fiorentina e romana a Pistoia: tale innesto è rappresentato dalla chiesa dell’antico monastero benedettino, che costituisce ancora oggi uno dei più interessanti esempi di interno settecentesco organicamente concepito, decorato fra il 1709 e il 1719 con affreschi, stucchi, sculture, dipinti dei più insigni artefici fiorentini, raccomandati per questa impresa dal Gran principe Ferdinando de’ Medici.
Oltre al capolavoro del celebre pittore, in mostra anche un’altra tela del Museo civico sempre proveniente dalla chiesa di Sala, opera del napoletano Jacopo Del Po, e altri materiali collegati al complesso pistoiese e alla sua storia come ricevute autografe degli artisti, memorie, cronache, studi preparatori e incisioni, in prestito dall’Archivio di Stato di Firenze, dalla Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze e dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.
Per la prima volta, inoltre, il pubblico potrà ammirare altre due pale della chiesa delle benedettine, rimaste di proprietà delle religiose, conservate nella clausura del monastero per oltre un secolo e pertanto pressoché inedite, restaurate per l’occasione: la «Nascita della Vergine» (1712) di Alessandro Gherardini e l’«Annunciazione» (1710-1716) di Benedetto Luti.
Sede dell’esposizione, nel trecentesco Palazzo comunale, è il grande salone del Museo civico, dove la pittura fiorentina del Seicento e del Settecento è ampiamente rappresentata dalle opere dei principali interpreti del periodo.
Attraverso la ricostruzione puntuale del contesto originario delle opere (la chiesa di Santa Maria degli Angeli è attualmente sede della banda comunale e sarà visitabile nel periodo della mostra), il progetto espositivo costituisce anche l'occasione per riallacciare, quel legame col territorio su cui si fonda il carattere della raccolta d'arte antica della prima e maggiore istituzione museale cittadina, suggerendo connessioni in grado di abbattere idealmente le mura che tengono separato il museo dal territorio e di promuovere la conoscenza di un patrimonio diffuso.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Anton Domenico Gabbiani (Firenze 1652 - 1726), Presentazione di Gesù al Tempio, 1709-1719. Olio su tela, 220x165 cm . Pistoia, Museo Civico, inv. 1975, n. 58; [fig. 2] Benedetto Luti (Firenze 1666 – Roma 1724), Annunciazione, 1710-1716. Olio su tela, 283x192 cm. Pistoia, monastero delle benedettine di Santa Maria degli Angeli di Sala; [fig. 3] Jacopo Del Po (Roma 1652 – Napoli 1726), Riposo durante la fuga in Egitto, 1675-1676 circa. Olio su tela, 220x165 cm. Pistoia, Museo Civico, inv. 1975, n. 663 

Informazioni utili 
Attorno all’opera: «La presentazione di Gesù al Tempio» di Anton Domenico Gabbiani. Museo civico - Palazzo comunale, piazza Duomo, 1 – Pistoia. Orari: dal lunedì al giovedì, ore 10.00-14.00; dal venerdì alla domenica e festivi, ore 10.00-18.00; Natale e Capodanno, ore 16.00-19.00. Ingresso: intero € 3,50, ridotto € 2,00, ingresso gratuito domenica 5 novembre, 3 dicembre e 7 gennaio. Catalogo: Gli Ori edizioni (€ 18,00). Sito internet: www.pistoia17.it | www.mostragabbianipistoia.it. Informazioni: tel. 0573.371214. Fino al 7 gennaio 2018.

venerdì 17 novembre 2017

«Giudizio Universale», Sting mette in musica un Michelangelo da spettacolo

È il 1535 quando Michelangelo Buonarotti riceve da papa Clemente VII il compito di affrescare la parete dietro l’altare della Cappella Sistina, nei Palazzi Vaticani di Roma. Sei anni dopo, nel 1541, durante il papato di Paolo III Farnese, la grandiosa composizione è completa. Nasce così Il «Giudizio Universale», una delle opere più famose della storia dell’arte, vanto della cultura italiana nel mondo. A questo capolavoro guarda l’ambizioso progetto ideato da Artainment Worldwide Shows, società appartenente alla Worldwide Shows Corporation, che si propone di raccontare in modo nuovo il nostro straordinario patrimonio artistico, rivolgendosi al grande pubblico e in particolare alle giovani generazioni.
Utilizzando un linguaggio inedito, e nel pieno rispetto storiografico ed artistico, Artainment Worldwide Shows inizia la sua attività con lo spettacolo «Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel», che il 15 marzo 2018 debutterà all'Auditorium Conciliazione di Roma.
Ideato da Marco Balich, che ha diretto numerose cerimonie olimpiche, e realizzato con la consulenza scientifica dei Musei Vaticani, lo show è il primo esempio di un format innovativo che unisce il racconto filologico della genesi di un capolavoro con gli strumenti tecnologici più sofisticati dell’intrattenimento dal vivo. Concepito per la lunga tenitura, «Giudizio Universale» mira a essere un appuntamento importante per gli amanti dell’arte e un must-see per i milioni di visitatori italiani e internazionali che ogni anno scelgono Roma come meta del loro viaggio nel Paese della bellezza.
Per questo progetto Marco Balich si è avvalso della collaborazione di artisti di alto livello come Sting, musicista di fama mondiale, che ha composto il tema musicale originale. Altro importante contributo è la supervisione teatrale di Gabriele Vacis, figura di riferimento nelle diverse forme artistiche del panorama culturale italiano, come il teatro, l’opera e l’intreccio dei linguaggi con i nuovi media.
Protagonista assoluta è la Cappella Sistina, uno dei luoghi più incredibili della storia dell’arte mondiale è al centro di uno spettacolo che nasce dalla contaminazione di tante e diverse forme artistiche: da un lato l’azione fisica della performance teatrale incontra la magia immateriale degli effetti speciali, dall’altro la tecnologia più avanzata si mette al servizio di un racconto per parole e immagini mai visto prima. L’immersività di proiezioni a 270° porta lo spettatore al centro stesso dell’evento.
Lo spettacolo durerà sessanta minuti. Gli spettatori assisteranno al racconto della nascita del capolavoro michelangiolesco, dalla commissione da parte di Giulio II degli affreschi della volta fino alla realizzazione del «Giudizio Universale», attraverso una rievocazione della Cappella Sistina anche come luogo dell’elezione pontificia. Attraverso il racconto del Buonarroti animeremo gli affreschi che compongono la Cappella Sistina fino al meraviglioso «Giudizio Universale» che prenderà vita in tutto lo spazio attorno al pubblico. Lo spettacolo andrà in scena due volte al giorno, con la possibilità di seguirlo anche in inglese (e più avanti anche in altre lingue), per almeno un anno.

Informazioni utili
I biglietti sono già acquistabili dal sito giudiziouniversale.com e attraverso il circuito Vivaticket. Per ulteriori informazioni: tel. 06 6875393 o info@giudiziouniversale.com.

mercoledì 15 novembre 2017

Bologna, un focus sull'incisione nel nuovo percorso espositivo del Museo Morandi

Il Museo Giorgio Morandi di Bologna ha da qualche settimana un nuovo percorso espositivo. Il rinnovato assetto è stato possibile grazie al rientro di trentaquattro opere concesse in prestito in occasione delle due importanti mostre sull’artista bolognese, recentemente tenutesi al Museo Pushkin di Mosca e all'Artipelag di Stoccolma.
Il ritorno di questi prestiti ha dato la possibilità allo staff curatoriale di rendere visibili contemporaneamente nel nuovo allestimento, come non succedeva da lungo tempo, alcuni tra i principali capolavori di proprietà del museo, affiancati da una selezione significativa di opere scelte tra le oltre quaranta generosamente concesse in comodato da collezionisti privati. Il percorso presenta così un totale di novantotto lavori tra dipinti, acquerelli, incisioni e disegni.
Di assoluta novità nel nuovo allestimento sono alcune opere pervenute recentemente in comodato che vengono presentate per la prima volta al pubblico nella cornice del Museo Morandi. Si tratta di un disegno e tre acqueforti appartenenti alla collezione Merlini: «Paesaggio» del 1962 (T.P. 1962/101), «Natura morta di vasi, bottiglie ecc. su un tavolo» del 1929 ca (V.inc. 67), «Vari oggetti su un tavolo» del 1931 (V.inc. 87) e «Natura morta a grandi segni» del 1931 (V.inc. 83).
Lungo il percorso espositivo meritano, inoltre, una segnalazione le due acqueforti della collezione Zani -«Fiore in un vasetto di bianco» del 1928 (V.inc. 51) e «Zinnie in un vaso a strisce» del 1929 (V. inc. 65)– a cui si aggiunge l'acquaforte «Grande natura morta con la lampada a petrolio» del 1930 (V.inc. 75) di proprietà di collezionisti privati, come il dipinto «Conchiglie» del 1943 (P. 2000 1943/4), già in comodato da gennaio 2017.
Il percorso espositivo, attraverso una nuova sala tematica denominata «Morandi e l'arte dell'incisione», offre inoltre la possibilità di approfondire le risultanze di una tecnica che trova nell'artista uno straordinario interprete. L’incisione è, infatti, un capitolo fondamentale dell’intera vicenda artistica di Giorgio Morandi, che vi si dedica inizialmente da autodidatta, tra il 1907 e il 1912, trascorrendo molto tempo nello studio delle riproduzioni delle opere grafiche degli antichi maestri incisori. L'artista aveva guardato a lungo e minuziosamente alle più difficili e oscure prove di Rembrandt, del quale possedeva quattro incisioni originali e le riproduzioni dell’intero corpus incisorio raccolto in volumi in folio.
Tra il 1912 e il 1956 Morandi realizza principalmente acqueforti (fanno eccezione una ceramolle, due puntesecche e una xilografia) utilizzando lastre di rame o di zinco che successivamente consegna a Carlo Alberto Petrucci, egli stesso incisore di talento e capace direttore della Calcografia nazionale di Roma (istituto che oggi possiede la quasi totalità delle matrici morandiane). È a Petrucci, infatti, che Morandi affida il privilegio della tiratura delle sue lastre, tiratura che egli volle sempre in numeri molto ridotti e che sorvegliò in ogni passaggio. Il rigore della pratica incisoria sarà alla base del suo insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove, nel 1930, ottiene «per chiara fama» la cattedra di Incisione, incarico che mantiene fino al 1956. Del resto, come egli stesso dichiarò nel 1961 a Edith Schloss, artista tedesca di nascita che lavorò a lungo negli Stati Uniti e in seguito in Italia: «L’incisione all’acquaforte in fin dei conti è una tecnica, qualcosa di tangibile che può essere insegnato. L’Arte non si può insegnare».
La sala dedicata all'arte incisoria si completa con il torchio a stella originale su cui Morandi eseguì le prime prove di stampa delle sue acqueforti.
La presentazione del nuovo assetto espositivo è stata anche l’occasione per parlare dei futuri progetti internazionali che vedranno coinvolto il Museo Morandi, il primo in ordine di tempo sarà la mostra che il Museo Belvédère di Leeuwarden (Paesi Bassi) dedicherà al maestro bolognese nel 2018, anno in cui la provincia della Frisia sarà Capitale europea della cultura. Il concept della rassegna, in programma dal 23 febbraio al 10 giugno 2018, è stato sviluppato a partire da un'idea di Ada Duker, artista olandese protagonista nel 2015 di una mostra negli spazi di Casa Morandi, in cui si evidenziavano le analogie formali tra la struttura compositiva delle nature morte di Giorgio Morandi e le architetture dei portici bolognesi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giorgio Morandi, Natura morta (Conchiglie), 1943. Olio su tela. Collezione privata. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017; [fig. 2] Giorgio Morandi, Natura morta a grandi segni, 1931. Acquaforte su zinco. Collezione Merlini. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017; [fig. 3] Giorgio Morandi, Vari oggetti su un tavolo, 1931. Acquaforte su rame. Collezione Merlini. Provenienza: deposito in comodato gratuito da gennaio 2017

Informazioni utili
Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 - 40121 Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica, ore 10.00–18.00; giovedì, venerdì, sabato, ore 10.00–19.00; lunedì chiuso. Biglietti: intero € 6,00; ridotto € 4,00; gratuito possessori Card Musei Metropolitani Bologna e prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6496611. Sito internet: www.mambo-bologna.org/museomorandi/

lunedì 13 novembre 2017

A Bologna il tessuto e la tappezzeria hanno un loro museo

Ha da poco aperto i battenti, negli spazi di Villa Spada, il museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi», quattordicesima sede dell’Istituzione Bologna Musei nata grazie all'acquisizione, nel febbraio 2016, da parte dell’Amministrazione comunale dell’intero patrimonio appartenuto a Vittorio Zironi, collezionista di un’ampia gamma di reperti sulla produzione tessile europea dal IV secolo al Novecento.
Il lascito, ad opera dei parenti, ha portato a una prima revisione della struttura museale, la cui tutela e valorizzazione sono state affidate ai Musei civici di arte antica.
L’intervento conservativo, che per il momento ha interessato solo l’assetto espositivo di alcune sale, proseguirà nei prossimi mesi con interventi migliorativi che riguarderanno la dotazione di una nuova segnaletica e la realizzazione di apparati didattici.
Fondato nel 1946 su iniziativa di Vittorio Zironi, il Museo del tessuto e della tappezzeria si configura come un unicum di eccezionale rilievo nel panorama delle collezioni italiane ed estere dedicate all'arte tessile per il ricchissimo patrimonio di oltre seimila oggetti, di natura e varietà differenti, raccolto in oltre quarant'anni di acquisizioni e donazioni. Del tutto peculiare è poi l'attenzione con cui i manufatti tessili sono posti in relazione agli strumenti di lavoro e ad aspetti poco noti del processo produttivo tessile, che connota questa istituzione come una importante base di studio per conoscere i segreti e le tecniche di un lavoro artigiano dalle origini molto antiche.
La visione che fin dall'inizio guidò Zironi nella scelta dei reperti e delle modalità per la loro esposizione è improntata, infatti, a uno stretto rapporto con la cultura artistico-industriale, nell'intento di illustrare l'ampia varietà di funzioni specialistiche che hanno accompagnato l'evoluzione del mestiere del tappezziere. Dalla costruzione e restauro di mobili imbottiti all'applicazione di drappeggi e tendaggi in ambienti differenti, le abilità di questa figura si sono affinate con sempre maggiore padronanza di manualità, senso estetico e capacità di operare le scelte più appropriate nella selezione di colori, tessuti e imbottiture, fondata su una accurata conoscenza degli stili della decorazione di interni.
La rivisitazione dell'assetto museografico rispetta l'originario criterio basato sulla classificazione per tipologie di oggetti di carattere omogeneo. Attraverso nuove soluzioni di allestimento con vetrine, viene introdotto un accento più evidente su poli tematici che sottolineano sia la rilevanza sotto il profilo storico e artistico sia la capacità documentaria dei reperti. Da segnalare, inoltre, l'arricchimento delle sale con dipinti del XVIII secolo, in prevalenza ritratti, provenienti dalle collezioni dei Musei civici d'arte antica, che restituisce l'effetto dell'ambientazione originale di una dimora nobiliare coeva.
Il percorso di visita si articola oggi in venti sale disposte su tre piani ed espone una significativa ma parziale porzione dell'intero patrimonio –duemilacinquecento pezzi- che comprende collezioni di tessuti italiani (tra cui damaschi, lampassi, broccati, velluti, tele bandiera, broccatelli, taffetas e liseré), tessuti orientali (turchi egiziani, copti, caucasici, persiani e indiani), merletti e ricami, paramenti sacri, abiti e costumi, bandiere e stendardi, pelli, stampi, cuoi, passamanerie, telai, accessori e attrezzi per tappezzieri.
Il piano terra gravita sull'elegante loggia dove sono esposte bandiere e stendardi di area bolognese, a conferma di un profondo legame con il territorio fortemente voluto dal fondatore. Tra i manufatti esposti nella prima sala spicca un raro frammento serico eseguito con la tecnica del lampasso, databile al XIV secolo, che testimonia l'eccellente livello raggiunto dalle manifatture lucchesi per qualità di tessitura e ricchezza del modulo decorativo. Il motivo iconografico riprende la scena sacra dell'«Annunciazione» nell'esecuzione realizzata dal Ghirlandaio e rientra in una tradizione di produzione seriale destinata all'applicazione su paramenti ecclesiastici.
Le manifatture italiane di epoca rinascimentale sono riunite nella seconda sala, dove sono esposti pregiati velluti di Genova e Zoagli, capitali europee della lavorazione di velluti lisci cesellati con decorazioni arabescate, animate da alberi, uccelli e altre forme zoomorfe. Tra i pezzi di maggiore pregio allestiti in questa sezione si distinguono inoltre tre tessuti decorati con disegni di Mariano Fortuny y Madrazo, figura di eclettico genio che all'inizio del XX secolo fondò a Venezia un'officina per la stampa su seta di motivi originali divenuta celebre in tutto il mondo.
La diffusione dei lampassi come simbolo di ricchezza presso le corti, i nobili e i ricchi borghesi in Europa è testimoniata da un reperto di rilevante importanza storica: un cappello appartenente al corredo matrimoniale di Francesco I de' Medici, Granduca di Toscana.
La terza sala documenta l'evoluzione della lavorazione artigianale di altre tipologie tessili leggere, come i broccati, verso un gusto rococò influenzato dall'affermazione nel XVIII secolo di un esotismo di gusto orientale e, nel secolo successivo, verso un revival di eleganze neogotiche care al Romanticismo.
Tra il piano e il piano terra è situata l'affascinante ghiacciaia settecentesca, un ambiente absidato di forma circolare con copertura a volta, progettato come conserva di neve per il mantenimento delle derrate alimentari di cui spesso venivano dotate le ville nobiliari dell'epoca.
L'ingresso al primo piano introduce alla Galleria delle arti riccamente ornata dalle statue delle «Tre Arti scolpite» da Giacomo De Maria e dai ritratti a cameo dei marchesi Giacomo Zambeccari e Ginevra Gozzadini. In questa sala trova collocazione il nucleo più antico della collezione costituito da sessantaquattro frammenti di tessuti copti, risalenti ad un periodo tra il IV e il XII secolo provenienti da corredi funebri ornati da motivi decorativi con figure animali, vegetali e umane.
Procedendo nell'adiacente salone da pranzo, o sala delle Colonne, si incontra una sezione dedicata ai disegni di Guido Fiorini, il cui archivio professionale è stato donato al museo nel 1990. Pittore e grafico formatosi nell'ambiente di Alfonso Rubbiani, Fiorini è stato una figura chiave del Liberty bolognese e delle vicende della Aemilia Ars, fondata a Bologna nel 1898 con l'intento di rinnovare il campo delle arti applicate. Altri ricami e merletti di produzione italiana che illustrano un artigianato capace di riadattare antiche tecniche di lavorazione agli inizi del XX secolo sono quelli realizzati dalla Scuola Ricami Ranieri di Sorbello, operante in provincia di Perugia all'inizio del Novecento, specializzata nella realizzazione del Punto Umbro ispirato ad un antico punto arabo.
Ulteriori nuclei di rilievo sono, poi, costituiti da abiti e vesti liturgiche come dalmatiche e piviali del XVIII e XIX secolo, tra i quali l'esemplare di piviale indossato da Papa Giovanni XXIII quando era nunzio apostolico a Parigi.
Nella sala undici si trova traccia di un'altra pregiata parte della cultura artistica e artigianale cittadina con i damaschi bolognesi, ottenuti dalla lavorazione di decorazioni opache su fondo lucido. Qui è, inoltre, esposto un magnifico telaio verticale francese del XVII secolo, poi modificato con sistema meccanico basato su schede perforate per la lavorazione con tecnica Jacquard, straordinario testimone dell'evoluzione tecnologica nell'epoca della rivoluzione industriale.
Completa il primo piano una sala dedicata alle sete, tra cui alcuni importanti pezzi di sete policrome persiane finemente ricamate in oro.
Fra il primo e secondo piano si trova l'ampia sala della Meridiana magnificamente decorata, destinata ad ospitare convegni e conferenze, dalle cui vetrate si accede al giardino all'italiana progettato da Giovanni Battista Martinetti sfruttando la naturale pendenza del terreno che circonda la villa.
Salendo al secondo piano, un piccolo atrio decorato con pitture di prospettiva immette nella quattordicesima sala, detta sala Boschereccia o Giardino d'Inverno, animata da vedute di paesaggio con scene venatorie che circondano le vetrine dove sono conservati pizzi, ricami e abiti.
Attraversando la sala successiva dedicata alla tessitura italiana, con abiti e cappelli realizzati da note modisterie e sartorie non solo bolognesi tra XIX e XX secolo, si accede alla corposa collezione di tessuti orientali, tra cui quelli giapponesi, persiani, caucasici, egiziani e turchi, che costituisce senza dubbio uno dei nuclei più notevoli dell'intera collezione. Così come si distinguono per l'eccezionale qualità esecutiva e la ricchezza di decorazioni gli elegantissimi caftani ottomani del XVIII-XIX secolo allestiti nella sala diciassette.
Il percorso espositivo si conclude con una raccolta di abiti di rappresentanza provenienti dall'archivio del Comune di Bologna, e le ultime due sale che raccolgono altri telai, tra cui un rarissimo esemplare del 1380 per la lavorazione di passamanerie (galloni e cordoni), attrezzi di vari generi ed epoche, passamanerie e cuoi.
Si tratta di reperti frutto dell'attenzione primaria che Vittorio Zironi ebbe verso la documentazione di tutti gli aspetti connessi alla tecnologia tessile e del rapporto appassionato che egli intrattenne costantemente con la categoria professionale dei tappezzieri, nella consapevolezza che la storia di questa arte è anche la storia di mode e stili di vita dei popoli. Uno sguardo, quello del collezionista, che il museo intende continuare a mantenere vivo nella sua attività futura, come fucina di proposte per lo studio e l'analisi dell'artigianato, in generale, e della tessitura e della tappezzeria, in particolare.

Informazioni utili 
Museo del tessuto e della tappezzeria «Vittorio Zironi», via di Casaglia, 3 - 40135 Bologna. Orari: giovedì, ore 9.00-14.00; sabato e domenica, ore 10.00-18.30; chiuso Natale, Capodanno, 1° maggio e festivi infrasettimanali. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito con la Card Musei metropoli-tani Bologna e la prima domenica di ogni mese. Informazioni: tel. 051.2194528 / 2193916 (bigliette-ria Museo civico medievale), museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica.

sabato 11 novembre 2017

«20 in poppa», Sergio Sgrilli tra cabaret e musica d’autore

Dalle origini nella Maremma Toscana ai primi concerti come musicista-cantante «colorati» di battute e aneddoti, fino ad arrivare ai monologhi che lo hanno reso una delle star di «Zelig»: Sergio Sgrilli si racconta a tutto tondo sul palco del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
Venerdì 17 novembre, alle ore 21, la stagione 2017/2018 della sala di via Calatafimi, intitolata ancora una volta «Mettiamo in circolo la cultura» e inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», apre le porte a «20 in poppa», uno show celebrativo di vent’anni di carriera o -come dichiarano dall’agenzia Ridens, che distribuisce lo spettacolo- «una sorta di Bignami di quasi tutto ciò che è e ha fatto Sgrilli comico».
Il risultato è un racconto di più di trent’anni, quarantotto alla anagrafe, dedicati alla creatività e a uno stile di vita che il comico toscano, sul palco anche nelle vesti di musicista e cantautore, definisce: «sbarcare il lunario al meglio che si può!».
«In scena l’essenziale: una sedia, una chitarra e tante, tante cose da raccontare -assicurano dalla distribuzione dello spettacolo- per risate a crepapelle intervallate da momenti introspettivi», che fanno di «20 in poppa» uno spettacolo interattivo e mutevole, capace di instaurare con il pubblico un rapporto diretto, dialettico ed entusiasmante. Gli affezionati abbonati del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio ne sanno già qualcosa. «Quello di Sergio Sgrilli nella nostra sala -racconta, infatti, Marco Bianchi, direttore organizzativo della realtà di via Calatafimi- è un gradito ritorno. L’artista toscano è stato nostro ospite anche due stagioni fa, in primavera, con «Prendila così non possiamo farne un dramma...», una performance che ha parlato d’amore attraverso le canzoni di Tenco, Capossela, Bennato, Dalla e De Gregori».
Questa volta a tessere la trama dello show saranno il racconto di viaggi e collaborazioni, stralci di vecchi e nuovi spettacoli, pezzi popolari fatti in tv e qualche brano del disco «Dieci venti d’amore», uscito nel 2012.
Sergio Sgrilli racconterà così dei suoi inizi in Toscana, quando Faso di «Elio e Le Storie Tese» gli disse: «tu sei bravo a cantare, ma come cabarettista saresti un fenomeno!». Parlerà, poi, dei tanti eventi che, nel tempo, lo hanno visto affiancarsi a grandi del cabaret come Cochi e Renato, Enzo Iannacci e Claudio Bisio, al quale si deve anche il soprannome «uomo del blues», un ricordo di quando negli anni d’oro di «Zelig» il comico toscano faceva le sue entrate suonando un blues orecchiabile alla chitarra, per poi incentrare i suoi sketch su parodie musicali. Tecnica artistica e fantasia si uniranno così in una «serata da ricordare», assicurano dall’agenzia Ridens, che vedrà Sergio Sgrilli vestire i tanti abiti che gli sono congeniali: musicista, cantautore, autore, attore, narratore o, come ama definirsi lui, «mente pensante».
Si apre, dunque, alla comicità e alla musica d’autore la stagione 2017/2018 del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Vanessa Gravina, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu. Un’occasione per passare una serata all’insegna del sorriso e della riflessione.

Per saperne di più
https://issuu.com/teatromanzonidibustoarsizio/docs/opuscolo_stagteatrale_2017-2018_24 

Informazioni utili 
 «20 in poppa», show con Sergio Sgrilli. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 – Busto Arsizio. Quando: venerdì 17 novembre 2017, ore 21.00. Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. Prevendita on line: I biglietti sono già comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it.

giovedì 9 novembre 2017

«Restituzioni», al museo civico archeologico di Bologna si restaura un sarcofago egizio

C’è anche l’Istituzione Bologna Musei | Museo civico archeologico tra i musei, i siti archeologici e i luoghi di culto selezionati per «Restituzioni», il programma biennale di interventi volti alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio pubblico del nostro Paese, ideato e curato da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con gli enti ministeriali preposti alla tutela dei beni archeologici e storico-artistici.
Avviato nel 1989 dall’allora Banca cattolica del Veneto, con obiettivi e finalità legati al territorio di competenza di quell’Istituto, il progetto ha gradualmente ampliato il proprio raggio di azione, di pari passo con la crescita della banca, ed ha raggiunto oggi dimensione e importanza nazionali.
In quasi trenta anni di operatività, «Restituzioni» è riuscito a coinvolgere pressoché l’intero territorio nazionale ed è in continua espansione, come testimoniano i numeri della passata edizione, la diciassettesima, che ha visto la restituzione al pubblico di oltre centoquaranta singoli manufatti e il coinvolgimento di trentasei enti ministeriali attivi in dodici regioni italiane e l’inclusione per la prima volta di un Paese straniero con il restauro di tre rilievi lignei provenienti dal Calvario Di Banská Štiavnica in Repubblica Slovacca.
Dal 1989 a oggi, sono ormai più di un migliaio le opere “restituite” alla collettività: una sorta di ideale museo, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche.
A queste opere, ora, se ne aggiungono altre duecento per un totale di quarantanove enti di tutela coinvolti e cinquantanove enti proprietari, tra musei, chiese, siti archeologici. Tra questi c’è il Museo archeologico di Bologna che, per la terza volta consecutiva, vedrà restaurata un’opera della sua collezione.
La proposta presentata per la diciotto edizione del progetto prevede l’intervento conservativo del sarcofago antropoide ligneo di un alto funzionario egiziano chiamato di «Unmontu», attribuibile per tipologia, apparato iconografico e testuale all'epoca della XXV dinastia (746 – 655 a.C.).
Il prezioso manufatto è giunto a Bologna attraverso un lascito del pittore bolognese Pelagio Pelagi che donò alla sua città natale un'immensa collezione di reperti comprendente anche 3109 antichità egiziane acquistate sul mercato antiquario negli anni tra il 1824 e il 1845, successivamente confluite nel patrimonio del Museo civico archeologico come uno dei principali nuclei originari.
Sin dal suo arrivo in città nel 1861 questo sarcofago attirò l'attenzione degli studiosi e dei cittadini bolognesi per la vivace policromia, il raffinato apparato iconografico e la ricchezza dei testi funerari in caratteri geroglifici che si distribuiscono in colonne sull’intera superficie esterna sia della cassa sia del coperchio.
Nelle scorse settimane è stata avviata la valutazione dello stato conservativo del manufatto attraverso un complesso studio conoscitivo condotto sotto la direzione scientifica di Daniela Picchi, funzionario egittologo del museo, e a cura del Consorzio Croma (Conservazione e restauro di opere e monumenti d'arte) di Roma, con il supporto scientifico di esperti in diverse discipline operanti in vari atenei e istituzioni, dall’Alma Mater Studiorum alla Carlo Bo di Urbino.
L'articolato progetto diagnostico, finalizzato a fornire le conoscenze preliminari agli interventi di restauro, è stato supportato dalle più avanzate tecnologie non distruttive. Accanto all’analisi tomografica computerizzata con raggi X e alla datazione con il metodo del radiocarbonio sono state effettuate analisi anatomiche per determinare la specie legnosa e uno studio relativo alla policromia mediante indagini non invasive e micro-invasive; approcci diagnostici tesi ad un’analisi accuratissima del manufatto, che hanno permesso di individuare i materiali costitutivi, le tecniche esecutive, le diverse fasi di lavorazione ed eventuali interventi conservativi di epoca moderna.
Le risultanze delle indagini hanno evidenziato un precario stato conservativo del sarcofago e la necessità di un nuovo intervento, dopo un precedente restauro effettuato negli anni sessanta del Novecento.
Come già sperimentato in passato, il Museo civico archeologico condividerà con il pubblico questo importante momento di ricerca e conservazione aprendo le porte del cantiere per seguire gli interventi di restauro fino al termine previsto nel dicembre 2017.
In corrispondenza delle fasi più significative del lavoro sarà infatti possibile assistere “in diretta” alle pazienti operazioni degli esperti grazie ad un box/laboratorio posizionato tra le teche espositive della sezione egizia, la terza in Italia per importanza. Una modalità di fruizione, quella del cantiere aperto, particolarmente efficace coma pratica di divulgazione e valorizzazione dei beni culturali, per favorire la conoscenza del patrimonio artistico conservato negli spazi museali attraverso un'emozionante esperienza di coinvolgimento.
La restituzione del sarcofago, che ne salvaguarderà correttamente la futura fruizione all'interno del percorso espositivo, verrà così assicurata da una virtuosa sinergia tra le competenze scientifiche attivate dal Museo Civico Archeologico e l'impegno di Intesa Sanpaolo nella difesa dei beni artistici nazionali.
Al termine dei lavori, domenica 18 febbraio 2018, Daniela Picchi ed Emiliano Antonell del Consorzio Croma presenteranno gli esiti dell'importante operazione in una conferenza aperta al pubblico.
Inoltre, a conclusione della campagna di restauri finanziati per la XVIII edizione di «Restituzioni», il sarcofago di «Unmontu», unitamente ad altre duecento opere salvate, sarà esposto Sanpaolo dal 27 marzo al 16 settembre 2018 alla Venaria Reale di Torino, in una grande mostra organizzata da Intesa Sanpaolo.

Informazioni utili 
Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio 2 - 40124 Bologna, tel. 051.2757211 o mca@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/archeologico 

martedì 7 novembre 2017

Luigi Crespi, un ritrattista bolognese del Settecento

È noto principalmente per essere l’autore del terzo tomo della «Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi», edito nel 1769 in prosecuzione dei due volumi pubblicati da Carlo Cesare Malvasia nel 1678. Ma fu anche un apprezzato ritrattista del Settecento bolognese, in relazione al clima di rinnovamento culturale favorito dall'illuminata opera pastorale del cardinale Prospero Lambertini (1731-1754). Stiamo parlando di Luigi Crespi (1708-1779), figlio del celebre pittore Giuseppe Maria detto lo Spagnolo (1665-1747), a cui i Musei civici d’arte antica dell'Istituzione Bologna musei dedicano, in questi giorni, un'ampia mostra nelle sale della Galleria Davia Bargellini. L'esposizione, a cura di Mark Gregory D'Apuzzo e Irene Graziani, presenta il nucleo più significativo di dipinti dell'artista conservati nel museo di Strada Maggiore, apprezzato soprattutto per la sua pregevole quadreria senatoria di dipinti bolognesi dal XIV al XVIII secolo, in dialogo con altre sue opere provenienti dalle collezioni comunali e con prestiti di altre importanti istituzioni cittadine e di collezionisti privati, in un percorso antologico articolato in sette sezioni tematiche che, per la prima volta, consente di ricostruire le fasi più rilevanti della sua vicenda artistica.
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75

Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017