ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 30 novembre 2016

Loreto celebra Maria Maddalena

Da Simone Martini ad Antonio Canova: è un vaggio attraverso otto secoli di storia, dal Duecento a oggi, quello che propone la mostra «La Maddalena, tra peccato e penitenza», allestita a Loreto, negli spazi del Museo-Antico Tesoro della Santa Casa, in occasione del Giubileo 2016.
Una cinquantina di opere si propongono di illustrare la storia di questa donna che Tommaso d’Aquino aveva definito «apostola degli apostoli» e Gregorio Magno «peccatrice perfetta e assoluta, che diviene discepola di Cristo».
Prostrata ai piedi del Signore nell’atto di ungergli i piedi con essenze preziose, oppure dolente e piangente abbracciata al legno della croce, infine lieta di recare l’annuncio della Resurrezione agli apostoli, la figura della Maddalena, esempio paradigmatico di conversione, ha destato l’interesse dei maggiori artisti dal Medioevo al Neoclassicismo.
La mostra di Loreto, allestita fino all'8 gennaio, ne illustra vari momenti della vita attraverso una selezione di opere appartenenti alle collezioni marchigiane, a partire dalla tavola di Carlo Crivelli di Montefiore dell’Aso, uno dei ritratti più seduttivi della Maddalena mai disegnato. Qui l’artista veneziano ritrae la donna nelle vesti di una provocante ragazza dallo sguardo tentatore, mentre la fenice ricamata sulla manica dell’abito evoca il suo percorso di conversione alla fede.
Nell’età della Controriforma questa figura biblica conosce una grandissima fortuna nell’iconografia sacra, come testimonia la tela di Orazio Gentileschi proveniente dalla chiesa della Fabriano.
Ritratta con un atteggiamento insieme sensuale e di pentimento, da peccatrice e da santa, la Maddalena appare in opere di grande bellezza e intensità. Il ferrarese Ercole de’ Roberti la fa esplodere in lacrime e la racconta con un «verismo»che ricorda le Maddalene disperate e «urlanti», in terracotta, dei «Compianti sul Cristo morto» di Guido Mazzoni e di Nicolò dell’Arca. In lacrime e urlante appare anche nell’opera di Ercole de’Roberti. Luca Giordano e Ignazio Stern la dipingono, invece, nuda e in estasi. Benedetto Luti la restituisce agli occhi del visitatore in ginocchio, nel tentativo di raccogliere un vasetto che è caduto e preoccupata per il prezioso contenuto, nel quadro «Cena in casa di Simone Fariseo».
Giulio Cagnacci disegna la Maddalena in una posa statica, Antonio Cavallucci le dà uno sguardo dolce e languido insieme. Opere di altissima qualità sono anche quelle di Moretto da Brescia, Matteo Loves, Desiderio da Settignano, Simone Martini, Orazio Gentileschi, Mattia Preti e Luca Giordano.
Persino Antonio Canova, scultore generalmente poco attento alle tematiche religiose in linea con il laicismo prevalente nei suoi anni, ha affrontato la figura della Maddalena mostrando il momento del suo ravvedimento, a conferma che il percorso di fede della giovane peccatrice potesse rappresentare per l’affermato scultore veneto un nuovo cimento artistico.
Una mostra, dunque, di grande interesse quella di Loreto che punta i riflettori sulla figura della Maddalena, alla quale l’ultima esposizione era stata dedicata una trentina d’anni fa dalla città di Firenze.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Simone Martini, Santa Maria Maddalena (Polittico di S. Domenico), 1320-1321. Tempera, oro e foglia d'argento su tavola, cm 94,5 x 46 x 4,5. Orvieto, Opera del Duomo; Museo Diocesano; [fig. 2]Carlo Crivelli, Parte inferiore Polittico di Montefiore dell'Aso con Santa Caterina d'Alessandria, San Pietro Apostolo e Santa Maria Maddalena. Seconda metà del 1400, cm 184,2 x 54, tempera su tavola. Montefiore dell’Aso, Polo museale San Francesco, Rete museale Musei Piceni

Informazioni utili 
«La Maddalena, tra peccato e penitenza». Museo-Antico Tesoro della Santa Casa - Loreto. 
Orari: dal Lunedì al venerdì, ore 10.00-19.00, sabato e domenica, ore 10.00-20.00. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00, ridotto scuole € 4,00. Informazioni: tel. 071.9747198 o tel. 06.68193064, museoanticotesoro@gmail.com. Sito internet: www.artifexarte.it. Fino all'8 gennaio 2017. 

martedì 29 novembre 2016

Busto Arsizio, Anna Galiena ed Enzo Decaro si danno del tu sul palco del Manzoni

Un uomo, una donna, due solitudini e una convivenza inconsueta raccontate, con sensibilità e humor, dalla voce di due tra i più amati attori del cinema italiano: Anna Galiena ed Enzo Decaro.
Dopo il successo dello spettacolo «Il bagno» con Stefania e Amanda Sandrelli, martedì 6 dicembre, alle ore 21, il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio apre le porte a «Diamoci del tu», commedia contemporanea, ironica e colta, uscita dalla penna del pluripremiato drammaturgo canadese Norm Foster, per la traduzione di Danilo Rana e con l’adattamento di Pino Tierno.
A firmare la regia dello spettacolo -proposto nell’ambito della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», curata da Maria Ricucci e inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro»- è Emanuela Giordano. I costumi sono stati ideati da Martina Piezzo; le scene da Andrea Bianchi. Il disegno luci ha visto al lavoro Francesco Saverio De Iorio.
Il testo drammaturgico, del 2012, racconta la storia di due solitudini, quella di un uomo e di una donna, di uno scrittore di successo e della sua domestica, che da anni vivono sotto lo stesso tetto, senza dividere affetti e intimità, condividendo solo le incombenze quotidiane.
Lui, David Kilbride, è un romanziere famoso che deve la propria notorietà alla versione cinematografica di un libro sullo spionaggio. È un uomo in crisi di identità e creatività, così egocentrico e concentrato su se stesso da fare addirittura fatica a ricordare il nome della donna con cui vive da ormai ventotto anni. Lei, Lucy Hopperstaad, è una persona taciturna ma attenta, che si ricorda ogni minimo particolare della vita del suo datore di lavoro. Ha un linguaggio ironico, colto e beffardo.
In una fredda sera di novembre i due si confrontano per la prima volta, parlandosi senza la formalità dei ruoli in cui si erano costretti per tanto tempo. «Dopo decenni di “buongiorno” e “buonasera”, di incombenze e comandi quotidiani, si scatena -racconta Emanuela Giordano- un serratissimo dialogo che ci provoca risate e curiosità».
La quasi-coppia parla di letteratura, di retaggi familiari e di solitudine attraverso un linguaggio mai scontato, colto e ricco di un vivace umorismo. I due si sfottono, chiedono e rispondono a domande, «ma intorno alle parole -racconta ancora la regista- si consuma altro. E quello che non si dicono diventa altrettanto interessante, perché di non detti ce ne sono tanti».
 Il tutto è ambientato nella dimora di lui, un mondo di ricchezza elegante e formale, «da casa di prestigio ma senza anima. L’anima, il calore -continua Emanuela Giordano- ce li regalano le sottili tessiture di sguardi e svelamenti, di bisogni non dichiarati» dei due protagonisti. Il gioco tra detto e non detto tesse così una trama avvincente che, attraverso la chiave della leggerezza e dei sentimenti, fa ridere ed emoziona il pubblico, raccontandogli il senso di incomunicabilità che spesso permea i rapporti e offrendogli anche uno sguardo penetrante sulle avversità della vita.

Informazioni utili 
«Diamoci del tu», commedia di Norm Foster con Anna Galliena ed Enzo De Caro,  per la regia di Emanuela Giordano. Dove: teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Quando: martedì 16 dicembre 2016, ore 21. Ingresso: € 30,00 poltronissima, € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto) poltrona, € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto) galleria. Prevendita on-line: www.crea.webtic.it/Default.aspx?sc=5273#menuSpettacoli. Botteghino: da martedì 29 novembre 2016 | dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: info@cinemateatromanzoni.it o tel. 0331.677961 (in orario serale e, da mercoledì 16 novembre,  tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00). Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it

lunedì 28 novembre 2016

Veneto: Haydn, Mozart e il pianoforte di Libetta in scena

Il «New York Times» lo ha definito un «aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale». «Le Monde de la Musique» ne ha parlato come dell’«erede dei Moritz Rosenthal, dei Busoni e dei Godowsky». Stiamo parlando di Francesco Libetta, grande virtuoso del pianoforte, che martedì 29 e mercoledì 30 novembre si esibirà con l'Orchestra di Padova e del Veneto in un doppio concerto: la prima sera al teatro Sociale «Eugenio Balzan» di Badia Polesine (Rovigo), la seconda al teatro Sociale di Cittadella (Padova).
Al suo debutto con l'Opv, Libetta eseguirà nel corso delle due serate i Concerti n. 1 in re minore e n. 2 in si bemolle per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms, ai quali saranno accostate le ultime sinfonie di Wolfgang Amadeus Mozart (la celeberrima «Jupiter») e Franz Joseph Haydn (la n. 104 «London»).
Prosegue così il progetto che la Fondazione Opv dedica al repertorio ottocentesco per pianoforte e orchestra e che negli ultimi due anni ha visto l’esecuzione integrale dei concerti di Chopin e di Beethoven con i pianisti Alexander Lonquich e Pietro De Maria.
Questa volta, nei due concerti di Brahms sarà, invece, impegnato Francesco Libetta, uno dei maggiori pianisti italiani del nostro tempo, affermato a livello internazionale, ma attivo anche come direttore d'orchestra e compositore di talento, tanto è vero che Isotta sul «Corriere della Sera» ne ha parlato come di un «poeta doctus».

Libetta sarà accompagnato dall’Orchestra di Padova e del Veneto sotto la guida di Marco Angius, direttore musicale e artistico della Fondazione Opv, reduce dal successo ottenuto nella direzione di «Aquagranda», l’opera di Filippo Perocco che ha inaugurato in prima assoluta la stagione 2016/17 del teatro La Fenice di Venezia.
Nel concerto di Badia Polesine, che avrà luogo martedì 29 novembre, sarà eseguito il «Concerto n. 1 in re minore op. 15» per pianoforte e orchestra di Brahms preceduto dalla «Sinfonia n. 41 in do maggiore Jupiter K 551» di Mozart. L'incasso della serata sarà devoluto all’Associazione Parkinson Rovigo & Amici Onlus. In mattinata, alle ore 11, si svolgerà la prova generale aperta alle scuole, a ingresso gratuito con prenotazione alla Fondazione Opv.
Il «Concerto n. 1 in re minore op. 15» è un lavoro giovanile che Brahms compone tra il 1854 e il 1858, ma che già si contraddistingue per la grandiosità dell'impianto e l’impegno costruttivo. Dapprima abbozzato come Sinfonia e poi come Sonata per due pianoforti, questo Concerto è una dimostrazione del fatto che proprio attraverso il pianoforte Brahms giunge alla composizione di opere strumentali di grande respiro.
La «Sinfonia n. 41 in do maggiore K 551» (1788) è, invece, una partitura che corona la produzione sinfonica di Mozart: una sorta di testamento spirituale per il quale il salisburghese sceglie il do maggiore, la tonalità della luce solare e incontaminata. Questo luminoso splendore, unito all’olimpica serenità, alla maestosità delle dimensioni e all’impiego solenne del contrappunto, ha guadagnato alla composizione il titolo ‘gioviale’ di «Jupiter». Mozart fa tesoro delle prospettive aperte da alcune Sinfonie di Haydn, che a sua volta terrà presente l'esempio di Mozart nelle sue ultime sinfonie, le dodici londinesi del 1791-1795.

L'appuntamento di mercoledì 30 novembre al teatro Sociale di Cittadella prevede, invece, il «Concerto n.2 in si bemolle maggiore» per pianoforte e orchestra di Brahms e la «Sinfonia in re maggiore n. 104 London» di Haydn. In questo caso il ricavato della serata andrà all’associazione «Il Granello di Senape». La prova generale, che avrà luogo alle ore 11, sarà aperta, anche in questo caso gratuitamente, alle scolaresche.
Il «Concerto n. 2 in si bemolle op. 83» viene composto da Brahms nel 1881, a più di vent’anni di distanza dal precedente, dal quale è profondamente diverso nell’impianto e nel carattere dei temi. È, inoltre, articolato in quattro tempi al posto dei tre tradizionali. Per l’imponente respiro sinfonico, per le qualità virtuosistiche richieste al solista e per il romantico colore dei timbri, questo secondo Concerto rappresenta un insuperabile classico della letteratura pianistica.
La «Sinfonia in re maggiore n. 104 London» è una delle opere scritte da Haydn per il pubblico britannico. Proprio la particolare attenzione al pubblico porta il compositore a concepire delle partiture in grado di ‘impressionare’ con una ricerca continuamente variata delle soluzioni strumentali e armoniche: una ricerca che si accompagna alla predilezione per un materiale tematico di carattere popolare, tipica di tutto il gruppo delle ‘londinesi’.

Informazioni utili 
Concerti con Francesco Libetta. Quando: Martedì 29 novembre, alle ore 21.00 (prova aperta per le scuole alle ore 11.00), a Polesine; mercoledì 30 novembre, alle 21.00 (prova aperta per le scuole alle ore 11.00), a Cittadella. Dove: Teatro Sociale Eugenio Balzan - Badia Polesine (Rovigo) e teatro Sociale – Cittadella (Padova). Ingresso: posto unico € 5,00 per ogni singolo concerto. Botteghino: le biglietterie dei due teatri saranno aperti il giorno dello spettacolo, con i seguenti orari: 10.00-13.00 e 18.00-21.00. Informazioni: tel. 049.656848. Sito internet: www.opvorchestra.it.

venerdì 25 novembre 2016

A Venezia i libri di Chanel, «la donna che legge»

«La vita che conduciamo non è mai granché, la vita che sogniamo è invece la grande esistenza, perché la continueremo oltre la morte»: è questo appunto vergato a mano da Gabriel Chanel ad aprire il percorso della mostra «Culture Chanel. La donna che legge», allestita fino all’ 8 gennaio a Venezia, negli spazi di Ca’ Pesaro, per la curatela di Jean-Louis Froment e di Gabriella Belli.
L’esposizione, che ripercorre il vissuto creativo della stilista francese a partire dal suo amore per i libri, fa parte di un ben più ampio progetto espositivo che, a partire dal 2007, ha toccato le città di Mosca, Shanghai, Pechino, Canton, Parigi e Seul raccontando, ogni volta da una prospettiva inedita e sorprendente, la vita di mademoiselle Chanel, una delle donne più affascinanti del XX secolo.
Questo settimo episodio evoca l’universo creativo della stilista francese nell’ottica inedita del suo rapporto con il libro e la lettura. Dai classici greci ai poeti moderni, la fornitissima biblioteca della donna svela opere che hanno segnato la vita e modellato la sua personalità. Non a caso Roland Barthes scrisse, nel 1967: «se apriste oggi una storia della nostra letteratura dovreste trovarvi il nome di un nuovo autore classico: Coco Chanel. Chanel non scrive con carta e inchiostro (salvo nel suo tempo libero) ma con tessuti, forme e colori; ciò non toglie che le si attribuiscano comunemente l’autorità e lo stile di uno scrittore del Grand siècle, elegante come Racine, giansenista come Pascal (da lei citato), filosofo come La Rochefoucauld (che lei imita inventando le proprie massime), sensibile come Madame de Sévigné... ».
Nell’appartamento della stilista al 31 di rue Cambon, di fronte agli scaffali di libri, si trovano le iscrizioni dei pannelli di lacca di Coromandel, presenza rassicurante degli scritti che la accompagnano e le rivelano ciò che può significare la costruzione della propria opera. È, infatti, nel silenzio della lettura che Coco Chanel apre gli occhi sul mondo e questo le permette, al contempo, di fuggire da esso, di sognare il suo destino, di costruire se stessa trovando nelle opere, gelosamente custodite, la forza e i mezzi per scrivere la propria leggenda
Dalla solitudine degli anni trascorsi nell’orfanotrofio di Aubazine fino alla fine dei suoi giorni, i libri e i loro autori guidano la traiettoria di Gabrielle Chanel, nutrono il suo immaginario, rispondono al suo bisogno di una ricerca mistica dell’invisibile e, soprattutto, le mostrano come iscrivere nel tempo la propria visione del mondo.
Questo dialogo attraverso le epoche, che va dall’antichità fino ai contemporanei, è costellato in particolare di riferimenti alle opere di Omero, Platone, Virgilio, Sofocle, Lucrezio, Dante, Montaigne, Cervantes, Madame de Sévigné, Stéphane Mallarmé, ed entra in risonanza con gli autori che lei ha frequentato e apprezzato, come lo stesso Pierre Reverdy, Max Jacob o Jean Cocteau.
Questa diversità le permette di trovare nella sua scrittura - quella della moda- una modernità che sfida la propria temporalità e si proietta ben oltre.
È a Venezia, uno dei principali luoghi d’ispirazione di Gabrielle Chanel, che il pubblico scoprirà per la prima volta la sua biblioteca. Attorno a questo nucleo centrale, la mostra gioca sulle analogie, le corrispondenze visive che mettono in luce da una prospettiva contemporanea la relazione di Chanel con i libri e la scrittura, in particolare quella poetica, che trova degli echi nella concezione della sua creazione. Dediche, archivi, fotografie, quadri, disegni si mescolano con un vestiario di creazioni di moda che svelano, al pari di una biblioteca, il vocabolario estetico di Gabrielle Chanel, il suo gusto per il classicismo e per il barocco, l’amore per la Russia e per gli ori di Venezia.
Oggetti d’arte provenienti dal suo appartamento parigino sono esposti, per la prima volta, insieme a gioielli e a profumi. Trecentocinquanta manufatti ricostruiscono così il ritratto intimo di una creatrice che ha saputo fare della propria vita una leggenda, o meglio una storia da romanzo.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Douglas Kirkland, Ritratto di Gabrielle Chanel sul suo divano, mentre guarda la sua biblioteca, luglio 1962. Fotografia. Collezione Douglas Kirkland, Los Angeles. © Douglas Kirkland; [fig. 2] Jean Moral, Gabrielle Chanel sul suo divano in daino beige dai cuscini imbottiti, 1937. Fotografia. Collezione privata. © Photo Jean Moral/Brigitte Moral; [fig. 3] Thierry Depagne, Biblioteca di Gabrielle Chanel, 2013. Fotografia. Collezione Patrimonio di Chanel, Parigi. © Thierry Depagne; [fig. 4] Jean Cocteau, Coco Chanel, circa 1930. Disegno a matita, 48x32,5 cm. Collezione Stéphane Dermit, deposito presso la casa Jean Cocteau, Milly-la-Forêt. © ADAGP Paris, 2016. Con la gentile autorizzazione di Pierre Berger, Presidente del Comitato Jean Cocteau

Informazioni utili
«Culture Chanel. La donna che legge». Ca’ Pesaro - Galleria internazionale d’arte moderna, Santa Croce 2076 - Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00–18.00, chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50. Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.capesaro.visitmuve.it. Fino all' 8 gennaio 2017. 

giovedì 24 novembre 2016

Teatro, è on-line il bando di «In-Box» e ci sono 52 motivi per partecipare

È on-line da pochi giorni il bando del progetto «In-Box 2017», ideato da Straligut Teatro con la collaborazione di più di quaranta partner distributi su tutto il territorio nazionale, tra i quali si segnalano il Mibact e il Fit – Festival internazionale del teatro e della scena contemporanea di Lugano (primo soggetto estero ad entrare nella rete).
La nona edizione del concorso, le cui candidature potranno essere inviate fino al prossimo 11 gennaio, mette in palio cinquantadue repliche da distribuire tra sei spettacoli.
A fine novembre uscirà, poi, il bando di «In-Box Verde» dedicato al teatro per le nuove generazioni, con più di venti date da assegnare agli spettacoli in gara (la cifra è in via di definizione); mentre a maggio Siena ospiterà «In-Box dal vivo», fase finale e decisiva di selezione degli spettacoli finalisti. È dal 2014 che si tiene questa rassegna grazie alla quale una rosa selezionata di compagnie riesce a mettere in scena test decisivo tramite il quale la giuria deciderà come distribuire le repliche in palio.
integralmente i propri spettacoli di fronte alla stampa e agli operatori, dopo una prima valutazione dei lavori presentati su video, schede e biografie. Una grande occasione di visibilità, questa, per le compagnie ospitate, ma anche un
Attraverso otto edizioni (2009-2016), «In-Box» è diventato un appuntamento fisso nell'agenda teatrale italiana, atteso dalle compagnie perchè in grado di toccare uno dei nervi scoperti del sistema: la possibilità di circuitare, di mostrare il proprio lavoro in contesti adeguati, incontrando pubblici molto diversi fra loro e di farlo vedendone riconosciuta la dignità economica (tutte le repliche messe in palio da «In-Box» sono a cachet).
Alle otto edizioni del bando hanno partecipato circa duemila proposte, sono stati selezionati ventuno spettacoli e distribuite più di centoottanta repliche.
Ma che cosa significa emergente per «In-Box»? Non solo giovane o nuovo: lo scandaglio della rete è, infatti, volto a individuare opere dall'alto livello artistico cui non corrisponde l'adeguata visibilità presso operatori, stampa e pubblico.
Anche l'edizione 2017, dunque, pone al centro il sostegno concreto alle compagnie emergenti: repliche a cachet fisso (con tre fasce di prezzo a seconda delle esigenze della compagnia), visibilità, confronto col pubblico, trasparenza nelle condizioni contrattuali.
Come di consueto, tutte le operazioni necessarie all'iscrizione al bando «In-Box» dovranno essere svolte dalle compagnie su Sonar (www.ilsonar.it), motore di ricerca del teatro emergente italiano, ma anche community e marketplace, sul quale sono iscritte 1709 compagnie, 1731 spettacoli e 279 operatori.
Ideata e gestita da Straligut Teatro, la piattaforma offre ai propri utenti una serie di strumenti finalizzati ad agevolare l’incontro fra la domanda e l’offerta teatrale.
Recentemente Sonar ha messo a punto un sistema di compravendita che garantisce agli artisti l’anticipo dei pagamenti (i cachet saranno pagati entro sette giorni lavorativi dalla replica), mentre, a coloro che intendono acquistare gli spettacoli, il portale offre una comoda interfaccia che guida gli utenti dalla scelta delle date, fino alla creazione dei contratti.

Informazioni utili
«In-Box 2017». Iscrizioni: fino alle ore 12 dell’11 dicembre 2016. Informazioni utili: Straligut Teatro - In-Box, tel. 0577.374025, e-mail: info@inboxproject.it. Sito internet: www.inboxproject.it.

mercoledì 23 novembre 2016

«United Street Pianos», a Ca’ Pesaro di Venezia arriva «Cecilia»

La festa di Santa Cecilia, patrona della musica e di tutti i musicisti, ha portato a Venezia, negli spazi della Galleria internazionale d'arte moderna di Ca' Pesaro, il pianoforte «Cecilia», il primo street pianos in un museo italiano.
Ideato dalla cantante e pianista Sofia Taliani, «United Street Pianos» è un progetto che prevede la collocazione di pianoforti da strada in spazi pubblici e fruibili da tutti, a disposizione di chiunque voglia suonare.
L’iniziativa prende ispirazione da «Play Me, I’m Yours», opera dell’artista britannico Luke Jerrama, che ha portato dal 2008 oltre millecinquecento pianoforti in cinquanta città del mondo, da Londra a New York, e che al momento conta cinque esemplari ancora a disposizione del pubblico internazionale.
Sofia Taliani ha donato a Ca’ Pesaro un pianoforte da strada, che entra, dunque, a far parte della famiglia «United Street Pianos» diffusa nel nostro Paese: dalla stazione di Venezia, che ospita il pianoforte «Lucy», ad altri spazi pubblici italiani nelle città di Milano, Torino, Firenze, Roma e Napoli.
È la prima volta che un museo accoglie un pianoforte da strada, e Ca’ Pesaro ha voluto dedicare questo arrivo al progetto «Venezia. Città delle donne», che vede impegnata la Fondazione musei civici di Venezia nella promozione della storia e della cultura femminile a Venezia e non solo.
Lo street piano è collocato nell’androne al piano terra del museo, a disposizione dei presenti e di tutti i visitatori e fruitori della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro.
Il Servizio attività educative del Muve è già al lavoro per proporre interessanti coinvolgimenti di «Cecilia» nelle attività che si susseguono durante l’anno per le scuole, le famiglie e il pubblico.

La Fondazione musei civici e Ca’ Pesaro invitano la città tutta, i cultori e gli amanti del pianoforte e della musica in generale, inclusi i principianti e chiunque voglia cimentarsi con «Cecilia», a proporre attività o anche solo animare il museo, diffondendo in questo modo la cultura della musica e della condivisione di spazi aperti e a disposizione della collettività.

Informazioni utili
unitedstreetpianos.weebly.com

martedì 22 novembre 2016

«Horse and Rider», a Milano un'opera attribuita a Leonardo

È un singolare omaggio a Leonardo da Vinci quello che propone, dal prossimo 25 novembre, il Palazzo delle Stelline di Milano, nella sede dell’Institut Francais, con la mostra «Horse and Rider», per la curatela di Ernesto Solari, nella quale viene esposta per la prima volta in Italia l’omonima opera scultorea che Carlo Pedretti ha attribuito nel 1985 al maestro toscano.
Destinata a far parlare di sé per l’incertezza dell’attribuzione, messa in discussione tra gli altri da Vittorio Sgarbi e Pietro Maraini, la rassegna lombarda presenterà, accanto a un ampio corredo di materiali documentari come stampe e illustrazioni, anche una seconda scultura del genio fiorentino, la «Testicciola di terra», che presenta elementi comuni alla prima: entrambi i lavori provengono da collezioni private, non sono mai stati esposti in Italia, e portano una particolare firma -una L maiuscola e una V rovesciata-: una sigla, questa, ideata dal genio vinciano, riscontrata su un foglio del Codice Ashburnam.
Quello dell’opera «Horse and Rider» è di fatto un ritorno a casa. Il lavoro verrà, infatti, esposto in uno dei perimetri cittadini più frequentati da Leonardo durante il suo soggiorno milanese: il maestro lavorava assiduamente al cantiere del Cenacolo e, nel tempo libero, attraversava la strada per raggiungere la Casa degli Atellani, confinante proprio con l’attuale Palazzo delle Stelline, dove si rilassava passeggiando tra i filari della vigna donatagli da Ludovico il Moro nel 1498. La stessa vigna gli fu, poi, confiscata dal re di Francia nel 1502 e, infine restituitagli, nel 1507, dal Governatore francese Charles D’Amboise, suo amico ed estimatore, al quale è dedicata l’opera scultorea «Horse and Rider».
La scultura, datata tra il 1508 e il 1511, è un piccolo bronzo realizzato dal modello in cera leonardesco, che raffigura l’importante uomo politico d’Oltralpe fiero e altero in sella al suo destriero. Stando alla ricostruzione storica, il ritratto di Leonardo passò dalle mani dell’allievo Francesco Melzi ai suoi eredi, da una collezione privata milanese a una romana, fino agli anni Ottanta del Novecento quando ne fu ricavato uno stampo in gesso dall'originale in cera e, più tardi, una fusione in bronzo acquistata dai collezionisti americani Jim Petty e Rod Maly, in arrivo a Milano per presentare questo controverso pezzo della loro collezione.
«L’opera -raccontano gli organizzatori dell’evento- è un autentico capolavoro, non solo perché portatore di grande espressività, forza realistica e naturalezza, dovute alle profonde conoscenze anatomiche, umane e naturalistiche del vinciano, ma anche perché è l’unico modello di monumento equestre di Leonardo giunto fino a noi».
L’altra opera in mostra, «Testicciola di terra», raffigura, invece, il giovane Salaì, allievo e compagno di Leonardo, nei panni di un giovanissimo Giudeo o volto di Cristo fanciullo; anch’essa, realizzata verso la fine del XV secolo (1497-99), sarebbe siglata di proprio pugno dal maestro.
L’esposizione presenta, dunque, due opere di grande fascino e bellezza, capaci –secondo gli organizzatori- di «far scoprire e conoscere un nuovo mistero legato, con molta probabilità, a tutta l’opera scultorea di Leonardo, che potrebbe condizionare i prossimi studi e le future attribuzioni».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Horse and Rider, fronte, 1508-11 (bronzo 19x25), collezione privata; [fig. 2] Horse and Rider, stampi per il modello in cera e la fusione; [fig. 3] Testicciola di terra, lato 1, 1500 (terracotta 18,5x24), collezione privata

Informazioni utili
«Horse and Rider». Institut Francais - Palazzo delle Stelline, corso Magenta, 63 – Milano. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso libero. Sito internet: www.davincihorseandrider.com. Dal 25 novembre al 23 dicembre 2016

lunedì 21 novembre 2016

Giacomo Balla e Torino, un artista e la sua città natale

Giacomo Balla e Torino: racconta il legame tra la città della Mole e il pittore futurista, le cui ricerche su colore, ritmo e movimento sono state al centro del dibattito artistico nei primi decenni del Novecento, la nuova mostra che la Gam – Galleria d’arte moderna di Torino ospita negli spazi della sua Curata da Virginia Bertone con un giovane allievo della Normale di Pisa, Filippo Bosco, l’esposizione offre un ritratto della scena artistica torinese fin de siècle in relazione alla formazione e alle amicizie dell’artista, che sotto il profilo professionale si affermerà poi a Roma all’inizio del Novecento.
La rassegna, visitabile fino al 27 febbraio, allinea per la prima volta una serie di rare fotografie di Mario Gabinio che documentano la realtà povera dei sobborghi torinesi, e in particolare del quartiere Rubatto, dove nacque l’artista, Accanto a queste immagini sono visibili il «Ritratto di Olimpia Oytana Barucchi» di Giacomo Grosso, lo studio di Giacomo Balla per il «Ritratto di Clelia Ghedini Marani», oltre a opere di Federico Boccardo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Pilade Bertieri, Felice Carena e Antonio Maria Mucchi.
Il percorso espositivo prende avvio dalla sua frequentazione dei corsi all’Accademia Albertina (1886-1891), scelta che appare decisiva per un artista che sarà sempre consapevole dei suoi mezzi tecnici e non secondario in tal senso è l’autorevole insegnamento di Giacomo Grosso, che si afferma in quegli anni come figura centrale della scena accademica torinese.
La difficile situazione familiare ed economica impone al giovane Balla esperienze lavorative nel mondo della tecnica, che saranno importanti tanto quanto l’educazione artistica: dapprima dal litografo Pietro Cassina e poi nell’importante studio di Paolo (Pietro) Bertieri; qui l’artista approfondisce la pratica della fotografia cui lo aveva già avviato la passione autodidatta del padre.
L’amicizia con il figlio di Bertieri, Pilade, lo introduce nell’ambiente dei giovani artisti torinesi, che si individuano proprio come la generazione degli allievi di Grosso. Ricerche pittoriche isolate e singolari di coetanei di Balla, come gli interni intimisti di Federico Boccardo e soprattutto le analitiche vedute urbane di Francesco Garrone, sono esempi utili ad arricchire il panorama torinese. Questo era caratterizzato dalla pittura di paesaggio e da quella accademica: un particolare rilievo per l’artista assume la conoscenza di Giuseppe Pellizza da Volpedo, importante riferimento per il divisionismo che poi adotterà a Roma.
Il trasferimento a Roma nel 1895 non gli consente che una prima timida apparizione pubblica, con un acquerello non identificato, all’Esposizione della Promotrice di Belle arti nel 1891.

Non partecipa, dunque, alle grandi rassegne nazionali di fine secolo, nelle quali si profila la nuova generazione dei giovani torinesi, tutti allievi di Giacomo Grosso. È con questi artisti che può essere confrontata la prima produzione romana di Balla, che nel 1902 mandava da Roma un’opera alla Prima Quadriennale. Oltre a Pilade Bertieri, si tratta di Felice Carena, Antonio Maria Mucchi, Luigi Onetti, Mario Reviglione, Domenico Buratti.
Il fondamentale incontro con l’arte internazionale a Parigi nel 1900, la vivace ricerca di una modernità della pittura, la forte istanza sociale nelle opere di questi artisti, l’impatto positivo della torinese Esposizione d’arte decorativa moderna del 1902 sono tutti elementi presenti nel Giacomo Balla pre-futurista.
Questa mostra alla Gam permette, dunque, di recuperare una pagina importante e ben specifica della storia artistica di Torino, troppo a lungo dimenticata, ma è anche un’occasione per comprendere i successivi sviluppi artistici del pittore futurista, al centro in questi giorni di una rassegna promossa dalla Fondazione Ferrero ad Alba.

Informazioni utili 
Protoballa. La Torino del giovane Balla. Gam, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: centralino tel. 011.4429518, segreteria tel. 011.4436907, e-mail gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.fondazionetorinomusei.it. Fino al 27 febbraio 2017. 

venerdì 18 novembre 2016

Roma, apre l’area archeologica del Circo Massimo

È stato da poco restituito agli abitanti e ai turisti di Roma uno dei suoi luoghi simbolo: il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport dell’antichità e di tutti i tempi.
Con suoi i seicento metri di lunghezza e centoquaranta di larghezza, questo importante sito archeologico è stato scenografia nel corso di oltre 2800 anni di varie leggende legate alle origini della città, a cominciare dal ratto delle Sabine, avvenuto in occasione dei giochi in onore del dio Conso.
Non si contano facilmente anche le trasformazioni subite dal luogo nel corso dei secoli. La prima sistemazione della Valle Murcia per adibirla a luogo per le corse dei carri risale all'epoca dei Tarquini, con sistemazione di spalti lignei. Ma è solo con Giulio Cesare che sarà realizzato un vero e proprio edificio in muratura, la cui pianta è conservata, almeno parzialmente, nelle costruzioni successive. Nel Circo Massimo si svolgevano le gare di corse dei carri che, insieme ai giochi gladiatori, erano l’attività agonistica più amata dai Romani: i conduttori delle quadrighe diventavano ben presto personaggi idolatrati dal popolo di Roma. Poiché le quadrighe facevano capo a scuderie distinte in base ai colori (verde, azzurro, rosso e bianco) anche gli spettatori si dividevano sulle gradinate del circo in base al colore di appartenenza dei propri beniamini, che venivano incitati con cori e motti composti per l’occasione. L’ampio spazio del fondovalle si prestava anche a manifestazioni di vario tipo legate in ogni caso alla vita politica, sociale e religiosa della città, come manifestazioni trionfali, processioni, giochi gladiatori, cacce, pubbliche esecuzioni.
Devastato più volte dal fuoco, il Circo Massimo fu ricostruito quasi integralmente sotto il principato di Traiano, alla cui fase appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio attualmente visibili. Numerosissimi gli interventi degli imperatori successivi tra cui quello, spettacolare, dell'erezione del gigantesco obelisco portato a Roma da Costante II, ora al Laterano. Il circo rimase in attività, forse solo parzialmente, fino ai primi decenni del VI secolo.
In seguito il grande invaso fu utilizzato come area agricola, proprietà privata dei Frangipane (1145), luogo di passaggio dell'acqua Mariana, cimitero degli ebrei, per poi diventare a partire dal XIX secolo sede degli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del Novecento, quando si mette mano ai lavori per la passeggiata archeologica.
La monumentalizzazione dell'area fu realizzata negli anni Trenta contemporaneamente a grandi opere di scavo le quali, insieme a quelle attualmente in corso, hanno messo in luce buona parte dell'emiciclo e i resti dell'arco di Tito. L’area intorno alla torre è smantellata, sono scavati gli ambienti dell’emiciclo e parzialmente restaurate le strutture emergenti. In seguito l’area è ceduta al Partito nazionale fascista, che la utilizza, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzano le grandi mostre degli anni 1937-40 (del tessile, del minerale e delle colonie estive). Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.
A partire dagli anni Ottanta cominciano alcuni interventi di scavo e restauro, ma una nuova sistemazione dell’area archeologica prende avvio solo nel 2009.
Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.
È stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.
I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi –che dal Cinquecento sono stati ricollocati in piazza San Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo– e dotata di metae I resti della spina sono stati localizzati in profondità (attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
I visitatori possono accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si possono percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si possono osservare anche i resti delle latrine antiche. Si prosegue sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.
Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.
L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo), su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progettodi consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.
I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

Informazioni utili
Area archeologica del Circo Massimo. Ingresso da piazza di Porta Capena – Roma.  Orari: 17 novembre - 11 dicembre  - dal martedì alla domenica, ore 10.00-16.00 (ultimo ingresso ore 15.00) | dal 12 dicembre - sabato e domenica, ore 10.00-16.00  (ultimo ingresso ore 15.00)  e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608. Ingresso: intero  € 4,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel 060608. Sito internet:  
www.sovraintendenzaroma.it

giovedì 17 novembre 2016

Alessio Deli e il sacro, un’indagine tra Rinascimento e Arte Povera

È un percorso alla scoperta di come l’arte contemporanea si accosti al tema del sacro quello proposto dal progetto «Autunno contemporaneo», articolato in tre mostre che fino alla fine di dicembre animeranno la Sala Santa Rita di Roma, suggestivo spazio polifunzionale costruito all’interno dell’architettura barocca dell’omonima chiesa, ormai sconsacrata, progettata dall’architetto Carlo Fontana nei pressi della scalinata dell'Aracoeli.
Dopo le installazioni site specific «Antropocene» di Mauro Pipani e prima della rassegna dedicata a Fabrizio Cicero, la quinta edizione di «Autunno contemporaneo» si accosta all’arte di Alessio Deli, protagonista fino al 26 novembre della mostra «La bellezza e la ruggine», della quale rimarrà documentazione in un catalogo corredato da un testo critico di Lorenzo Canova e da una poesia di Marco Lodoli.
L’artista romano, classe 1981, ha riflettuto sul concetto di sacro e sacralità intesa come memoria originaria, ma anche come fondamentale istanza antropologica, ideando un incontro misterioso tra epoche e stili differenti, in un’installazione che lavora sul ricordo e sulla nostalgia attraverso un ciclo di sculture recenti che fondono sacralità, classicità e avanguardia.
Alessio Deli interviene così nei suggestivi spazi della ex chiesa di Santa Rita facendone dialogare l’impianto barocco con le presenze plastiche e angeliche di opere che evocano antiche liturgie, memorie rinascimentali ed elementi di forte contemporaneità, nel mistero di un misticismo legato allo splendore delle figure femminili.
L’artista coniuga con maestria la grazia misteriosa e celestiale delle donne rinascimentali scolpite da Francesco Laurana, Verrocchio o Jacopo della Quercia alla ricerca su materiali nuovi o di recupero tipica dell’Arte povera e oltre, che ha avuto il suo apice nell’opera di Alberto Burri , Ettore Colla, Mimmo Rotella e Jannis Kounellis.
La capacità del giovane artista, infatti, non è solo quella di lavorare con il ready-made in senso installativo, ma anche di creare un’armonia tra il polimaterismo e la sua capacità di modellare e comporre le anatomie e i volti, con una qualità formale da scultore antico che nella sua leggerezza si redime da ogni possibile accademismo evidenziando invece una finissima intensità di immaginazione e realizzazione iconica.
Le opere di Deli si trasformano così in una vera e propria sublimazione sacrale della materia brutale del mondo, degli scarti della civiltà postindustriale e delle cose neglette, consumate dal tempo e dall’uso, abbandonate ai margini delle nostre città, in un’azione di redenzione degli oggetti scartati, che vengono riscattati dalla loro condizione di inutilità, per trasformarsi negli abiti sontuosi di figure metaforiche che portano con sé allusioni enigmatiche. Così, così come un fiore nato in luoghi contaminati e in rovina, la grazia spirituale delle donne di Deli sboccia dal metallo arrugginito e dalla materia corrosa, metafora di una bellezza che trova sempre la sua via di rinascita.

Informazioni utili
«La bellezza e la ruggine» - Mostra di Alessio Deli. Sala Santa Rita, via Montanara (adiacenze piazza Campitelli) - Roma. Orari: martedì-sabato, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì e la domenica. Ingresso libero. Informazioni: 060608. Sito internet: www.comune.roma.it/cultura. Fino al 26 novembre 2016. 

mercoledì 16 novembre 2016

«Invideo», tre giorni all’insegna delle seduzioni

Compie ventisei anni «Invideo», mostra internazionale di cinema e video che da giovedì 17 a domenica 20 novembre animerà, nell’ambito del «Mese della sperimentazione sull’immagine», la città di Milano.
Per tre giorni lo Spazio Oberdan e lo Ied - Istituto europeo di design apriranno le porte a proiezioni e incontri con ospiti italiani e internazionali, eventi ai quali farà da filo conduttore il tema «Seduzioni: attrazioni visive e desiderio, mutazioni, fascino di corpi e di tecnologie, di gesti e di sguardi».
Trentotto le opere presentate nella «Selezione internazionale», metà delle quali realizzate da under 35, e nove gli eventi speciali che compongono il cartellone di questa nuova edizione del festival milanese, organizzato da Aiace Milano e diretto da Romano Fattorossi e Sandra Lischi.
«Invideo» presenterà in anteprima italiana «Final Gathering» (domenica 20 novembre, alle ore 16.00, allo Spazio Oberdan), il nuovo lavoro di Alain Escalle sulla memoria, caratterizzato per la sua forte sperimentazione: «partendo dalle immagini di un gruppo di persone e bambini attivi su una spiaggia, -si legge nella scheda di presentazione- l'artista ne ha completamente alterato il dato reale, donando alle immagini un freddo aspetto pittorico. I corpi evaporano in silhouette fantasmatiche, lasciando allo spettatore una sensazione di attesa, di metamorfosi ineluttabile del tempo e dei corpi».
Alta importante anteprima, ma in questo caso solo milanese, sarà, poi, quella di «Love is All» (domenica 20 novembre, alle 21, allo Spazio Oberdan), toccante ritratto di Piergiorgio Welby firmato da Francesco Andreotti e Livia Giunti, che si configura come un viaggio tra animazione, video-arte e documentario alla scoperta di un uomo diventato -si legge nella scheda di presentazione- «un simbolo della lotta per i diritti civili e per l’autodeterminazione dei cittadini».
La rassegna, di cui rimarrà documentazione in un catalogo cartaceo e digitale, presenterà, inoltre, una personale dedicata ad Alessandro Amaducci, sperimentatore radicale con un profilo che spicca nel panorama italiano per l’esplorazione di effetti e tecniche. Nello specifico, «Invideo» omaggerà l’artista torinese con una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 11.30) e un incontro con l’autore (venerdì 18 novembre, alle ore 22, allo Spazio Oberdan), durante il quale verranno ripercorsi vent’anni di carriera: «fra immagini simboliche e riferimenti poetici, echi filosofici e memorie si dipanerà una riflessione audiovisiva – fra analogico e digitale – densa, ricca di richiami, intrecciata con varie arti eppure radicalmente altra».
Tra gli eventi in programma si segnala anche l’omaggio al cinema indipendente e a una delle sue più importanti protagoniste: Maya Deren. Anche in questo caso si sarà una masterclass allo Ied (giovedì 17 novembre, alle ore 15.30), alla quale seguirà la performance «Homage to Maya» (2015) dei Karmachina, importante studio milanese leader nell’ambito del visual design, che si è ispirato alle immagini e al montaggio dell’autrice, giustapponendo alcuni lavori realizzati negli anni Quaranta come «Meshes of the Afternoon, At Land» e «A study in Choreography for Camera», con un’elaborazione sonora del gruppo Fernweh.
«Invideo» apre, poi, per la prima volta alla videoarte peruviana (venerdì 18 novembre, dalle ore 16, allo Spazio Oberdan), con opere recenti di diverso taglio, tematica e stile, curata da Angie Bonino e José-Carlos Mariátegui, due protagonisti della scena artistica, tecnologica e culturale di questo Paese.
Spazio anche ai video reportage degli allievi del Centro sperimentale di cinematografia de L’Aquila (venerdì 18 novembre, alle ore 18, allo Spazio Oberdan), diretto da Daniele Segre, protagonista anche di una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 9.00), e all’incontro con Georges Bollon (sabato 19 novembre, alle ore 18.30, allo Spazio Oberdan), fondatore del Festival internazionale del cortometraggio di Clermont – Ferrand, la più importante vetrina internazionale dedicata ai corti che nell’edizione 2016, la trentottesima, ha registrato 162.000 spettatori.
Stanley Kubrick è, invece, fonte d’ispirazione e contaminazione dell’happening video-musicale «Nekrotzar – Inseguendo l’arcobaleno» di Matias Guerra (giovedì 17 novembre, alle ore 22.30, allo Spazio Oberdan). L’opera, che fa parte della serie Compendium, si configura come una partitura intessuta di riferimenti alle opere del regista, in cui il materiale video si intreccia con un intervento sonoro dal vivo, creando risonanze, evocazioni ed enigmi.
«Invideo» presenterà, inoltre, la rassegna «Identità negate», composta da due opere che proporranno un focus sul bullismo e sul tema dell’identità sessuale: «Bullied to Death» di Giovanni Coda e «Deseos» di Carlos Motta (sabato 19 novembre, dalle ore 16.00). Mentre nell’incontro «VideoARTgames» (domenica 20 novembre, alle ore 17.30) Roberto Cappai farà il punto della situazione sull’universo dei videogame artistici, un mondo ricco di ibridazioni e di aspetti non ancora conosciuti.

Informazioni utili 
«Invideo 2016». Sedi varie – Milano. Ingresso: con Tessera Aiace (€ 5,00). Informazioni: tel. 02.76115394 o info@mostrainvideo.com. Sito internet: www.mostrainvideo.com. Dal 17 al 20 novembre 2016.

martedì 15 novembre 2016

«Artisti rivali», Sebastian Smee racconta le amicizie e i tradimenti dell’arte contemporanea

Lucian Freud e Francis Bacon, Édouard Manet ed Edgar Degas, Henri Matisse e Pablo Picasso, Jackson Pollock e Willem De Kooning: sono queste le quattro coppie di autori al centro del volume «Artisti rivali» scritto da Sebastian Smee, firma del «Boston Globe» e premio Pulitzer per la critica nel 2011, la cui uscita nelle librerie italiane è prevista per il prossimo 15 novembre.
Edito per i tipi della Utet, il volume combina perfettamente «gusto artistico, comprensione della natura umana e prosa cristallina», raccontando -scrive Peter Schjeldahl nel periodico statunitense «The New Yorker»- «il dramma, talvolta farsesco, di artisti che sono stati fonte vicendevole di ispirazione e tormenti, spingendosi a raggiungere vette altrimenti inspiegabili».
«Ricco di dettagli e vivido come un romanzo», per usare le parole di Michael Upchurch del «Boston Globe», «Artisti rivali» attinge a biografie, memorie, testimonianze e lettere per raccontare come la misteriosa dinamica tra riconoscimento e repulsione che ha caratterizzato la vita di alcuni artisti, portandoli a lottare con ferocia per conquistare gli stessi collezionisti e i medesimi riconoscimenti, abbia scandito le tappe principali della storia dell’arte recente.
Ma nel libro di Sebastian Smee siamo lontani dai luoghi comuni sulla violenta inimicizia tra il Bernini e il Borromini o dalla mitologia fiorita sul, pur autenticamente storico, «sdegnio grandissimo tra Michelangelo Buonarroti e Leonardo», di cui parlò il Vasari.
Il critico australiano scrive, infatti, che il suo saggio «non ha nulla a che fare con il cliché macho dei nemici giurati, degli acerrimi competitori, o dei rancorosi testardi che si contendono senza quartiere la supremazia artistica, o anzi la supremazia tout court. Al contrario, è un libro sulla duttilità, sull'intimità, sull'apertura all'influenza altrui».
La storia dell’arte moderna è piena di storie simili: «a meno di un anno dalla morte di Jackson Pollock in un incidente d’auto, -si legge nella presentazione del libro- il suo sodale Willem de Kooning iniziò una relazione con la sua ragazza, Ruth Kligman, l’unica sopravvissuta a quell’incidente. Pablo Picasso ha tenuto in bella vista in casa sua per tutta la vita il ritratto che Matisse fece alla propria figlia Marguerite, lo stesso ritratto che un tempo veniva usato da lui e dai suoi amici come bersaglio per il tiro a freccette. Dieci anni dopo la morte di Francis Bacon, Lucian Freud ancora non voleva sentirlo neppure nominare, ma conservava gelosamente un suo grande dipinto, rifiutandosi di prestarlo per le mostre».
Tra queste storie Sebastian Smee ricorda anche quella, clamorosa, del doppio ritratto che Edgar Degas dipinse a Édouard Manet e a sua moglie Suzanne: un quadro, conservato nel museo di Kitakyūshū, che oggi termina a metà del profilo della donna, perché il marito lo vandalizzò a coltellate in un momento di rabbia. Che cosa era successo? L'incontrollabile iconoclastia di Manet era causata dall’irritazione per la crudeltà con cui l'amico Degas aveva ritratto il decadimento fisico di sua moglie? O forse le radici del gesto affondano in qualcosa di più profondo e torbido, in un’inconfessabile gelosia?
Questa e molte altre curiosità vengono raccontate nel libro «Artisti rivali», teso a ricostruire gli incontri e gli scontri, i traumi, le invidie e le gelosie che hanno forgiato l’amicizia e l’influenza reciproca tra otto grandi personalità dell’arte contemporanea, di cui ancora oggi resta traccia, con la stessa intensità e la stessa fiamma, nelle loro opere.

Informazioni utili 
Sebastian Smee, «Artisti rivali - Amicizie, tradimenti e rivoluzioni nell'arte moderna», Novara-Milano, Utet, 2016. Dati tecnici: pagg. 352, con inserto a colori. ISBN-10: 885112681X. Prezzo: € 20,00 (ebook compreso nel prezzo). In libreria dal 15 novembre 2016. Informazioni: Utet, info@utetlibri.it.

lunedì 14 novembre 2016

«Il bagno», confidenze al femminile con Stefania e Amanda Sandrelli

Madre e figlia nella vita, colleghe sul palco. Stefania e Amanda Sandrelli approdano al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nell’ambito della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
Dopo il successo del musical «Wonderland», che lo scorso ottobre ha registrato per due sere il «tutto esaurito» coinvolgendo oltre milletrecento spettatori, la programmazione serale della sala di via Calatafimi prosegue mercoledì 23 novembre, alle ore 21, con la commedia «Il bagno» dell’attrice e modella Astrid Veillon, «uno spettacolo divertente e sincero -si legge nella scheda di presentazione-, diretto con intelligenza da uno dei registi più interessanti e prolifici della scena spagnola, Gabriel Olivares».
La pièce -un testo francese riadattato da Beatriz Santana e Pilar Ruiz Gutiérrez e tradotto in italiano da David Conati- promette «tante risate», una riflessione sui vari volti dell’universo femminile e «un cast di donne eccezionali».
Sul palco, con Stefania e Amanda Sandrelli, ci saranno, infatti, altre tre talentuose e affascinanti attrici italiane: Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini. Mentre le scene dello spettacolo, presentato da Alessandro Longobardi per Oti e «L’isola trovata», portano la firma di Asier Sancho. Le luci sono a cura di Daniel Navarro; i costumi sono stati realizzati da Adele Bargilli.
 Un po’ «Donne sull’orlo di una crisi di nervi» e un po’ «Sex & The City», la commedia «Il bagno» è, nelle parole degli organizzatori, «un gioco di seduzione, una metafora di vita, un nascondiglio, un lavoro di introspezione e soprattutto un trattato sull'uomo».
 La storia, dalle atmosfere almodovariane, ha un ritmo narrativo coinvolgente: è il compleanno di Lucia, detta Lu, e le sue tre migliori amiche -Maria Sole, Angela e Titti- decidono di festeggiarla organizzando un party a sorpresa per i suoi quarant’anni nell’elegante casa del fidanzato. La sorpresa che spiazza tutte è, però, l’arrivo di Carmen, la madre di Lu, una donna leggera, svampita e dalle frequentazioni a dir poco discutibili, con cui la figlia non ha un rapporto ottimale. La festa diventa così una girandola di colpi di scena, rivelazioni inaspettate, riflessioni, ubriacature, malinconie e ammissioni di fallimenti.
 Tutta la vicenda si svolge, come suggerisce il titolo stesso dello spettacolo, nel bagno di casa, «spazio -riporta la nota di presentazione- dove ci si può sfogare da soli o insieme, dove ci si può isolare per pochi minuti, dove si può urlare in silenzio o piangere con lacrime sincere».
 L’amicizia, la maternità, l’amore, il matrimonio, il tempo che passa, la quotidianità e la ricerca continua di un proprio posto nel mondo sono gli argomenti di cui conversano le cinque donne protagoniste del racconto di Astrid Veillon, mettendoci a confronto con tutte le loro paure, carenze, contraddizioni e con i tanti piccoli segreti che ogni amicizia porta con sé. Uno spettacolo, dunque, leggero ma di riflessione quello diretto da Gabriel Olivares, che sottolinea così il lato psicologico del testo: «qui incontriamo delle donne [...] più comiche che drammatiche, più ridicole che gravi, più assurde che terribili. [...] E davanti ai loro problemi (alcuni banali, altri senza soluzione e risposta) non rimane altro che ridere di noi stessi usando la risata come terapia».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2 e 3] Una scena della commedia «Il bagno», con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini, per la regia di Gabriel Olivares. Foto: Marina Alessi

Informazioni utili
«Il bagno», commedia con Stefania e Amanda Sandrelli, Claudia Ferri, Serena Iansiti e Ramona Fiorini,  per la regia di Gabriel Olivares. Dove: teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Quando: mercoledì 23 novembre 2016, ore 21. Ingresso: € 30,00 poltronissima, € 26,00 (intero) o € 24,00 (ridotto) poltrona, € 25,00 (intero) o € 23,00 (ridotto) galleria. Prevendita on-line: http://cinemateatromanzoni.creaweb.it/generic/scheda.php?id=37009#inside. Botteghino: da mercoledì 16 novembre 2016 | dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00. Informazioni: info@cinemateatromanzoni.it o tel. 0331.677961 (in orario serale e, da mercoledì 16 novembre,  tutti i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00). Sito internet: www.cinemateatromanzoni.it

venerdì 11 novembre 2016

«Minute visioni», un percorso tra i micro mosaici romani

«Il musaico in piccolo è un industrioso e pazientissimo lavoro che ripete la sua origine dall’aver immaginato di filare que’ medesimi smalti di cui si eseguivano i quadri nella basilica di San Pietro». Così nel 1847 lo storico Gaetano Moroni ricostruiva la nascita del mosaico minuto in smalti filati, avvenuta durante la seconda metà del Settecento a Roma, forse per opera di Giacomo Raffaelli (1753-1836), discendente di una famiglia fornitrice di smalti per la Fabbrica di San Pietro, che operò nella sua vita per importanti committenti italiani e stranieri.
Il micro mosaico, riconosciuta come una tecnica artistica tipicamente romana, raggiunse il suo apice negli anni a venire, quando in città operavano decine di botteghe specializzate, la cui produzione era in massima parte destinata ai viaggiatori stranieri del Grand Tour. In questi studi d’arte e negozi di belle arti, per lo più situati tra piazza del Popolo e Piazza di Spagna, operavano numerosissimi artigiani, spesso sotto la guida di maestri affermati come Antonio Aguatti, Clemente Ciuli, Luigi Moglia, Gioacchino e Michelangelo Barberi, Guglielmo Chibel.
Allo sviluppo dell’arte del micromosaico tra Sette e Ottocento è dedicata la mostra «Minute visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli», per la curatela di Maria Grazia Branchetti, Fabio Benedettucci e Marco Pupillo, allestita fino al 31 dicembre al Museo napoleonico di Roma.
L’esposizione allinea un centinaio di oggetti tra quadri, tavoli, tabacchiere, placchette, gioielli e fermacarte, che mostreranno l’evoluzione del mosaico minuto attraverso le tematiche più diffuse: vedute romane, paesaggi del Grand Tour, nature morte e raffigurazioni di animali.
Nei suoi primi anni di esistenza, il micromosaico trovò un naturale spazio nei campi già sperimentati dalla miniatura. Le opere di piccolo formato erano realizzate entro cassine di rame o di pasta vitrea, placchette da montare in gioielli e bottoni, in oggetti quali scatole, cofanetti e tabacchiere, in suppellettili da scrittoio o di arredo come fermacarte, calamai, orologi, vasi. Tra le opere di dimensioni più rilevanti troviamo quadri, fasce decorative per camini, piani di tavolo.
Grande spazio in mostra hanno le vedute dell’Urbe. Roma sacra e Roma profana, strettamente intrecciate nelle manifestazioni visibili della loro storia, rappresentarono la meta per eccellenza del Grand Tour, il viaggio in Italia che accomunò per generazioni l’aristocrazia europea in un’esperienza di studio e di vita. Le grandi campagne di scavo e gli straordinari risultati conseguiti nel corso del Settecento restituirono opere grandiose, e la cultura neoclassica propose un ideale di bellezza che trovò nell’antico il suo modello. Con l’affermarsi del Romanticismo, il fascino per la rovina e il paesaggio aggiunse nuova linfa all’interesse del viaggiatore per la sublime grandezza di antiche vestigia e della realtà che ne conservava le tracce. Contestualmente si sviluppò una vera e propria industria artistica finalizzata alla riproduzione, nelle più diverse tecniche, delle meraviglie dell’arte, del costume e del paesaggio italiano.
Per la prima volta i mosaici saranno presentati in diretta relazione con opere pittoriche e stampe, per lo più provenienti dalle collezioni del Museo di Roma, in un confronto che consentirà al pubblico di cogliere le affinità iconografiche e le identità formali che caratterizzarono la produzione musiva romana e i contemporanei raggiungimenti nel campo delle arti maggiori. Oltre ad evocare riferimenti o inquadrature, è possibile anche riconoscere il prototipo dal quale il mosaico fu tratto, come nel caso dell’acquaforte di Bartolomeo Pinelli raffigurante una coppia di danzatori di saltarello, alla base di una raffinata, minuscola placchetta. Per altre opere, il riferimento è meno diretto, ma ugualmente significativo: con un piccolo quadro in mosaico è messa in relazione una tempera raffigurante piazza San Pietro, datata 1824. Nel foglio, la scena è inquadrata all’interno di una cornice ovale, caratterizzata da tralci d’edera posti ai quattro angoli: il bordo della cornice, realizzato imitando piccole sfere dorate, suggerisce che l’opera possa essere servita da modello per una decorazione in mosaico minuto destinata al coperchio di una scatola o di una tabacchiera.
Tra le opere in mostra si segnalano in piccolo ma raffinatissimo nucleo di micromosaici appartenenti al Museo napoleonico, tra cui due tabacchiere, una parure con placchette in mosaico minuto montate in oro, opera di Antonio Aguatti, un fermacarte in marmo nero del Belgio e una rara serie di pendenti per monili con emblemi della Prima Repubblica Romana.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Antonio Aguatti, Parure con placchette in mosaico minuto; [fig. 2]  Allegoria di Roma; [fig. 3] Tavolo con veduta del foro romano; [fig. 4] Scena popolare con stemma di papa Leone XIII

Informazioni utili

«Minute Visioni. Micromosaici romani del XVIII e XIX secolo dalla collezione Ars Antiqua Savelli». Museo napoleonico, piazza di Ponte Umberto I – Roma. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00; 24 e 31 dicembre, ore 10.00-14.00 | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso gratuito. Informazioni: 060608 (tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle ore 21.00). Sito internet: www.museonapoleonico.it. Fino al 31 dicembre 2016.

giovedì 10 novembre 2016

Jannis Kounnellis e il teatro di Heiner Müller in mostra a Milano

«Mi piace lavorare per il teatro perché mi piace il teatro, e poi perché era necessario portare sul palcoscenico la stessa rivoluzione che io e i pittori della mia generazione, avevamo portato nella pittura». Così Jannis Kounellis racconta il suo rapporto con il teatro, iniziato nel 1968 con la scena dei sacchi di carbone per lo spettacolo «I testimoni» di Flaminio Bulla, per la regia di Carlo Quartucci, andato in scena al teatro Stabile di Torino.
Da allora l’artista greco, esponente di spicco dell’Arte povera, si è più volte accostato al mondo della scena: nel 1991 ha realizzato i «cani che abbaiano» per il «Mauser» di Heiner Müller, nel 1999 tre grandi treni per l'«Opera Beuys» proposta a Duesseldorf, nel 2000 un sipario di coltelli e una croce rovesciata per «Il Cimarron», con la musica di Hanz Werner Heinze.
L’elenco delle collaborazioni di Jannis Kounellis è proseguito con l’ideazione, nel 2010, di un sipario di pietre legate a corde per il teatro greco di «Elefsina» e con il monumentale sipario «gotico» di lamiere con scranni su tre livelli per il «Loengrin» di Richard Wagner, rappresentato ad Amsterdam nel 2014.
L’ultima sua ideazione per il mondo della scena è del 2015, quando ha lavorato a «Die Hamletmaschine» («La macchina di Amleto»), un dramma postmoderno di Heiner Müller liberamente ispirato all’«Amleto» di William Shakespeare, portato in scena nel dicembre 2015 al Piccolo Teatro d’Europa di Milano.
Il video di questa performance teatrale, realizzata in collaborazione con il regista Theodoros Terzopoulos, è ora in mostra nella sede milanese della Galleria Fumagalli, per la curatela di Annamaria Maggi e Alexandra Papadopulos.

L’opera, realizzata in occasione del ventennale della scomparsa del drammaturgo e poeta tedesco si compone di un’installazione (scena e platea) realizzata dall’artista greco e di una performance nella quale alcuni brani del dramma «Die Hamletmaschine» prendono forma attraverso la voce femminile dell’attrice Sofia Hill, la musica elettronica live di Panagiotis Velianitis e la voce maschile elaborata da Theodoros Terzopoulos.
Il lavoro di Heiner Müller, autore definito negli anni Novanta «il più grande scrittore di teatro vivente», rilegge liberamente l’«Amleto» di Shakespeare, introducendovi anche riferimenti e allusioni al femminismo, al movimento ecologista e al comunismo.
Caratteristica dell’opera, redatta nel 1977, è la frizione della parola poetica con la storia, strutturata in cinque sequenze di monologhi durante i quali il protagonista abbandona il proprio ruolo teatrale per riflettere sul suo essere attore.
L’interprete di «Amleto» si ritrova morbosamente avvinghiato al suo personaggio, alle prese con le proprie passioni e i propri fantasmi. Il suo è un farneticante soliloquio in cui sono messi a nudo, da una parte, l’accantonamento di ogni slancio utopico e, dall’altra, i paradossi della situazione dell’intellettuale moderno, dibattuto tra l’impossibilità di modificare lo stato delle cose e la volontà di trasformarsi in macchina al servizio di chi amministra l’esistente. Il risultato è un racconto frastagliato, senza armonia, come se il mondo interiore dell’interprete del dramma shalespeariano volesse esplodere nell’irruzione accidentale di brandelli di frasi, di suoni appena udibili.
Per questo lavoro Kounellis ha realizzato un’installazione, allo stesso tempo personale e sociale, contro la corruzione e il potere, nel quale compare un Amleto «con la schiena rivolta verso le rovine dell’Europa».
L’artista greco continua così il suo rapporto con il mondo della scena per il quale usa un linguaggio che non è fatto di pennellate, ma di cose vere: i sacchi di carbone, il fuoco, la terra, la lana, i sacchi di juta, le piante, gli animali, rivendicando alla materia artistica una sua verità e un potere di svelamento non privo di rimandi poetici, letterari e simbolici. Una vera e propria drammaturgia, la sua, da intendersi in termini di scrittura scenica, capace di trasformare lo spazio in una «cavità teatrale e umanistica» perché –come afferma lo stesso artista- «è l'uomo il vero punto di vista del teatro, la sua centralità, che a differenza della pittura ha uno svolgimento e una grande immediatezza».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Jannis Kounellis, Theodoros Terzopoulos, Die Hamletmaschine di Heiner Müller, Il Piccolo Teatro d’Europa, 2015; [fig. 4] Ritratto di Jannis Kounellis

Informazioni utili
Jannis Kounnellis, Theodoros Terzopoulos. Die Hamletmaschine by Heiner Müller. | Presentazione video della performance. Galleria Fumagalli, via Bonaventura Cavalieri, 6 – Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: galleriafumagalli.com o tel. 02.36799285. Sito internet: www.galleriafumagalli.com. Fino al 20 dicembre 2016. 


mercoledì 9 novembre 2016

Le foto di Ai Weiwei in mostra a Torino

È una delle figure più discusse e controverse del mondo dell’arte. Stiamo parlando di Ai Weiwei (Pechino, 28 agosto 1957), artista, designer e attivista politico cinese, diventato una vera e propria icona del mondo asiatico per la sua lotta a favore della libertà d’espressione. Mentre Firenze ne celebra l’arte con una mostra monografica a Palazzo Strozzi, che sta facendo discutere per la serie di gommoni posizionati sulla facciata del museo a ricordare il dramma dei profughi, Torino ne ripercorre la poetica artistica e il ruolo nel dibattito culturale internazionale con la rassegna «Around Ai Weiwei: Photographs 1983-2016».
L’esposizione, allestita fino al 12 febbraio a Camera – Centro italiano per la fotografia, include materiali fotografici e video, tra cui alcuni documenti inediti, a partire dall’autoritratto «The Forbidden City during the SARS Epidemic», una sorta di selfie ante litteram, datato 2003, nel quale l’artista è solo all’interno della «città proibita» di Pechino, svuotata dall’epidemia che isolò la Cina dal resto del mondo per sei mesi, riducendo a città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.
All’ingresso della mostra, a cura di Davide Quadrio, il visitatore è posto di fronte all’opera monumentale «Soft Ground», un tappeto lungo quarantacinque metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino. Il lavoro vuole ricordare la crisi di Piazza Tienanmen del 1989, momento chiave nella storia contemporanea della Cina e del mondo intero che ha influenzato e ancora influenza la produzione artistica cinese.
A partire da qui il percorso si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Accanto ai segni dei cingolati di piazza Tienanmen, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese con una serie di fotografie intitolate «New York Photographs 1983-1993»: ottanta scatti, come fermi immagine di un film in bianco e nero, restituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l'artista fece quando visse negli Stati Uniti.
Nel 1994 l’artista torna in Cina e realizzata una rara video-intervista con Daria Menozzi, «Before Ai Weiwei» («Prima di Ai Weiwei»), montata nel 2009, che lo mostra coinvolto in un dialogo intimo teso a ricostruire uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in patria dopo il soggiorno americano.
Pressoché inedita è anche la serie «Beijing Photographs 1993-2003» («Fotografie di Pechino, 1993-2003») che ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi. Attraverso i progetti editoriali dell'artista, tra i quali spicca la serie «Black Cover Book, White Cover Book e Grey Cover Book», viene offerta -si legge nella nota stampa- una visione progressista su un’ampia gamma di questioni culturali.
Le due opere video «Chang’an Boulevard» («Viale Chang’an») e «Beijing: The Second Ring» («Pechino: il secondo anello») descrivono, invece, lo scenario della capitale cinese nei primi anni Duemila. Attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita, vengono documentate le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.
L’ultima sezione della mostra offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: «Refugee Wallpaper», un collage di oltre 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista: all’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.
«Qui, la voce dell’artista riempie il vuoto creato dal silenzio di migliaia di persone –spiega Davide Quadrio- tuttavia, al tempo stesso siamo testimoni di una conseguente ossessiva azione di voyeurismo che provoca un senso di disagio. Questa enorme produzione di immagini ci porta a vedere e a capire di più o di meno? Tanti anni dopo la sua serie di autoritratti, che cosa rimane e che cosa è cambiato nell’approccio dell’artista nei confronti dell’autorappresentazione?». L’omaggio che la città di Torino fa all’artista termina al Castello di Rivoli, dove è visibile la monumentale installazione di «Ai Weiwei Fragments» (2005), potente metafora della realtà odierna e della fragilità che si cela dietro alle manifestazioni di potere.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, The Forbidden City during the SARS Epidemic, 2003. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 2] Ai Weiwei, Beijing Photographs 1993-2003, Last dinner in East Village, 1994. Courtesy of Ai Weiwei Studio; [fig. 3] Ai Weiwei, Lesvos, 27 January 2016. Courtesy of Ai Weiwei Studio 

Informazioni utili 
Around Ai Weiwei Photographs 1983-2016. CAMERA – Centro italiano per la fotografia, via delle Rosine 18 - Torino. Orari: lunedì, mercoledì e da venerdì a domenica, ore 11.00-19.00; giovedì, ore 11.00-21.00; chiuso il martedì | Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 6,00, gratuito per i bambini fino ai 12 anni e per i possessori della Torino+Piemonte Card.Informazioni: camera@camera.to. Sito internet: www.camera.to. Fino al 12 febbraio 2017.