ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 30 gennaio 2009

«Aldo Moro: una tragedia italiana»: sul palco va in scena la storia

16 marzo 1978, poco minuti dopo le 9.00 di mattina: a Roma, all’incrocio tra via Fani e via Stresa, una Fiat 130, guidata dall’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci e con a bordo l’onorevole Aldo Moro, viene bloccata da un commando di terroristi, formato da una dozzina di persone. In soli due minuti, l’auto su cui si trova il presidente della Democrazia cristiana e l’Alfetta bianca, con le guardie del corpo, vengono crivellate da un centinaio di colpi d’arma da fuoco. I cinque uomini della scorta -Raffaele Jozzino, Oreste Leonardi, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e lo stesso Domenico Ricci- vengono uccisi; l’uomo politico sequestrato. Nelle stesso giorno, ottiene la fiducia il IV governo Andreotti, un monocolore democristiano, formato con il sostegno esterno, fortemente voluto dallo stesso statista pugliese, del Partito comunista italiano.
9 maggio 1978, in tarda mattinata: le Brigate rosse comunicano al professor Franco Tritto, amico della famiglia Moro, che il politico democristiano è stato assassinato. Le foto del corpo del presidente Dc, riverso nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, targata Roma N56786 e parcheggiata simbolicamente in via Caetani (a metà strada tra piazza del Gesù e le Botteghe Oscure, tra la sede della Dc e quella del Pci), fanno il giro del mondo.
Tra queste due date-simbolo della storia italiana della secondo dopoguerra, trascorrono cinquantacinque giorni. Cinquantacinque giorni, lunghissimi e carichi di ansia, nei quali lo Stato è tenuto in scacco dalle Br e nei quali il dibattito politico si trasforma in conflitto etico: cedere al ricatto dei terroristi o opporsi con forza? Difendere ad ogni costo le ragioni dello Stato o salvare la vita di un uomo innocente, la cui unica colpa è stata quella di essere un punto di riferimento imprescindibile nel panorama frammentato del sistema politico del tempo? Polis o pietas, come domanda il sofocleo «dilemma di Antigone»?
Da allora sono passati trent’anni. Cinque processi e due commissioni parlamentari d’inchiesta, un numero infinito di libri, spettacoli teatrali e fiction TV non sono bastati a dissolvere i dubbi e a fare chiarezza su quello che Leonardo Sciascia ha definito «l’affaire Moro». Un «affaire», scottante e tuttora carico di interrogativi, di cui i giornalisti Corrado Augias e Vladimiro Polchi, su invito dell’Istituto italiano di cultura in Parigi e dopo aver già lavorato a una trilogia di grande successo sulla storia dell’antica Roma (Processo a Caio Giulio Cesare, Processo a Nerone e Processo a Tiberio), hanno ricostruito la storia nel dramma-documento Aldo Moro. Una tragedia italiana, che alle 21.00 di venerdì 30 gennaio 2009 va in scena al teatro Sociale di Busto Arsizio, in esclusiva provinciale e nell’ambito di BA Teatro-Stagione cittadina 2008-2009.
Il testo scenico, per la regia di Giorgio Ferrara, uomo di teatro che vanta collaborazioni con Luchino Visconti e Luca Ronconi, si configura come una vera e propria lezione di educazione civica, un reportage che ricostruisce la storia drammatica di quei cinquantacinque giorni che separarono per sempre Aldo Moro dall’amata famiglia e dal suo lavoro politico, attraverso le missive che lo stesso statista pugliese scrisse agli amici del partito, da Francesco Cossiga a Benigno Zaccagnini, senza dimenticare le lettere che egli vergò per papa Paolo VI e i familiari. Lettere in cui si alternano momenti di speranza e altri di disperazione, tra ricordi privati e raccomandazioni di incombenze quotidiane, tra accuse di errori e ringraziamenti ai collaboratori, fino all’ultima toccante missiva alla moglie Noretta: «Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto, tanto Luca), Anna, Mario, il piccolo non nato, Agnese, Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta».
Allo strazio delle parole del presidente Dc imprigionato, lo spettacolo alterna i commenti e gli interrogativi di Leonardo Sciascia e di Pier Paolo Pasolini (poco prima di morire, l'intellettuale friulano lanciò un appello dalle colonne del Corriere della Sera del 28 agosto 1975 a processare pubblicamente la Dc), ma anche i comunicati ufficiali delle Br e i punti di vista dei politici del tempo, dai democristiani ai socialisti. Il tutto scandito da immagini tratte dai telegiornali d’epoca e da spezzoni di film realizzati su questa storia, come Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara, Piazza delle Cinque lune di Renzo Martinelli (2003) e Buongiorno notte (2003) di Marco Bellocchio.
Sulla scena il dramma umano dello statista pugliese sarà interpretato da Paolo Bonacelli, navigato attore specializzato in personaggi del teatro dell’assurdo e nelle tematiche dell’alienazione e dell’incomunicabilità care al Novecento pirandelliano. «Lui -come ha giustamente scritto Renato Palizzi su Il Sole 24 ore- non recita veramente la parte di Moro, si limita a farne risuonare le parole, la struggente aspirazione a tornare alla famiglia: ma vi infonde una tale lucidità intensa che se ne esce scossi nel profondo».
Accanto a Bonacelli, ci sarà sul palco Lorenzo Amato, voce narrante di quei cinquantacinque giorni che cambiarono per sempre la storia italiana, cronista imparziale di una vicenda che, ieri come oggi, lascia aperti troppi interrogativi.
Efficace la scena di Gianni Silvestri, formata da semplici parallelepipedi neutri, con al centro una nuda struttura metallica che richiama vagamente una gabbia. Le luci portano la firma di Mario Loprevite. Le musiche, suggestive, sono di Marcello Pani.
Dopo Busto Arsizio, lo spettacolo farà tappa a Stradella, Napoli, Roma, Cremona, Monte San Savino e Firenze.

Didascalie delle immagini
Foto di Tommaso La Pera.
[Le foto sono state messe a disposizione dall'ufficio stampa del teatro Stabile di Sardegna].


Per saperne di più
Il sito di Consulenze teatrali


Informazioni utili
Aldo Moro. Una tragedia italiana. Busto Arsizio (Varese), teatro Sociale, piazza Plebiscito 8. Data: venerdì 30 gennaio 2009, ore 21.00. Ingresso: € 16.00/12.00. Informazioni: tel. 0331 679000, fax. 0331 637289, info@teatrosociale.it. Sito web: www.teatrosociale.it.

domenica 25 gennaio 2009

Busto Arsizio, due giorni di eventi per ricordare la Shoah

Sul palco per non dimenticare. Sul palco per ricordare i milioni di vittime, ebrei e prigionieri politici, che morirono nei campi di concentramento nazisti. Per il nono anno consecutivo, il teatro Sociale di Busto Arsizio ricorda -su iniziativa dell’associazione culturale “Educarte” e con il patrocinio e il contributo economico della Fondazione comunitaria del Varesotto- la Giornata della memoria, momento di riflessione istituito per il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, con l’obiettivo di «ricordare -come recita la legge 211 del 20 luglio 2000- le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, i cittadini italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Dopo il recital Giustizia, non vendetta (gennaio 2006), incentrato sulla vicenda di Simon Wiesenthal (l’uomo passato alla storia come il «cacciatore dei nazisti»), lo spettacolo Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti (gennaio 2007), destinato alla memoria dei venti bambini di Bullenhuser Damm, e la rappresentazione Dedicato ad…Angelo (gennaio 2008), tesa a illustrare la drammatica esperienza del cittadino benemerito Angioletto Castiglioni nel lager di Flossemburg, il teatro Sociale di Busto Arsizio volge la propria attenzione a un tema ancora poco trattato dalla cosiddetta «saggistica e storiografia concentrazionaria»: quello della Shoah delle donne.
Nella serata di martedì 27 gennaio (ore 21.00) il ridotto Luigi Pirandello, nuovo spazio della sala bustese consacrato al «teatro di parola e di ricerca», ospita, infatti, la prima nazionale del recital Come una rana d'inverno (L'Olocausto è donna), primo appuntamento di Donna è..teatro, rassegna che prevede fino a maggio 2009 una serie di omaggi a grandi artiste del passato e rappresentazioni di spettacoli e mise en espace, nei quali la figura femminile svolge un ruolo di primo piano.
La nuova produzione del teatro Sociale di Busto Arsizio, il cui titolo è mutuato da un verso del noto incipit di Primo Levi al romanzo Se questo è un uomo, dà voce a quattro storie di donne, ebree e non, che vissero, negli anni dell’infanzia e della prima giovinezza, l’esperienza, inconcepibile e traumatizzante, della deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz.
Arianna, Loredana, Teresa e Zita: questi i nomi delle quattro protagoniste, ragazze dagli undici ai venticinque anni, scampate alla follia nazista, le cui vicende, raccontate da Mimma Paulesu Quercioli nel libro L’erba non cresceva ad Auschwitz (Ugo Mursia editore, Milano 1994), sono state adattate per la scena dalla regista bustese Delia Cajelli e verranno rappresentate dalla compagnia Attori del teatro Sociale, con la collaborazione delle allieve della scuola di recitazione Il metodo e di un piccolo gruppo di studenti della scuola primaria Edmondo De Amicis di Busto Arsizio.
Il testo teatrale si configura, dunque, come «una confessione a quattro voci», che, a distanza di settant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali e di più di sessant’anni dalla tragedia dell’Olocausto, restituisce la realtà della deportazione al femminile, con le sue varie «tappe»: l'arresto, l'interminabile viaggio nei vagoni piombati, l'arrivo al campo, la selezione e il distacco dalla famiglia, l’umiliazione della spoliazione e dell’immatricolazione, l’offesa della rasatura dei capelli e della depilazione del corpo, l’angoscioso “vivere” quotidiano nelle baracche e, in rari casi, la liberazione e il ritorno a casa, dove le sopravvissute alla Shoah si scontrarono con il muro dell’incomprensione, dell’imbarazzo e del silenzio.
Quello dello spettacolo Come una rana d’inverno. (L’Olocausto è..donna) non è, però, l’unico appuntamento promosso e organizzato dall’associazione culturale Educarte, in occasione la Giornata della memoria 2009. Martedì 26 gennaio, in mattinata (alle ore 10.15), è, infatti, previsto lo spettacolo per bambini C'era una volta il cattivo Adolf (Hitler)..., incentrato sul romanzo storico-biografico Quando Hitler rubò il coniglietto rosa di Judith Kerr, nel quale si racconta il nazismo e l’odio antisemita attraverso gli occhi di una bambina di nove anni, Anna, la cui famiglia fu costretta nel 1933, poco prima della vittoria elettorale di Adolf Hitler in Germania e prima della promulgazione delle leggi razziali, ad abbandonare la sua casa di Berlino e a vivere una vita di profuga in giro per l’Europa, tra Svizzera, Francia e Inghilterra.
Lo spettacolo, per la regia di Delia Cajelli e con gli Attori del teatro Sociale, vedrà la partecipazione di un piccolo gruppo di allievi della scuola primaria Edmondo De Amicis e affronterà il tema dell’essere bambini all’epoca della Shoah, anche attraverso il racconto, in forma di favola, di vicende raccontate nei libri Come mio fratello di Uwe Timm (Mondadori, Milano 2003), ritratto di una generazione che ha reso possibile l’avvento del nazismo in Germania, L’amore mio non può di Lia Levi (Edizioni e/o, Roma 2006), storia di una bambina il cui padre si è ucciso a causa delle leggi razziali, e L’isola in via degli Uccelli di Uri Orlev (Salani editore, Milano 1993), narrazione delle peripezie di un bambino ebreo, amante dei libri d’avventura e di Robinson Crusoe, sopravvissuto alla repressione nazista, rimanendo a lungo nascosto sui tetti di una Varsavia deserta e spettrale.
Martedì 27 gennaio, sempre in mattinata (ore 10.15), si terrà, invece, il recital Se questo è un uomo, tratto dall’omonimo racconto che lo scrittore piemontese Primo Levi compose, tra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, per documentare la drammatica condizione degli ebrei nei campi di concentramento e per raccontare la sua stessa vicenda di deportato ad Auschwitz.
Lo spettacolo, che dal 30 aprile 1997 (data del suo debutto) viene ininterrottamente rappresentato in teatri, auditorium e scuole del nord Italia, si configura come un documento-reportage dal lager, in cui attraverso parole, rumori come lo sferragliare del treno, canti yiddish e musiche del tempo e non, quali Il vecchio e il bambino di Francesco Guccini e l’aria Lili Marlene di Hans Leip, resa famosa dall’interpretazione di Marlene Dietrich, si viene condotti alla scoperta dei ritmi di vita e delle storie di chi è stato prigioniero nelle fabbriche della morte del regime nazista, di chi è sopravvissuto e ha potuto raccontare l’orrore del folle «piano hitleriano di epurazione della razza ebraica», ma anche dei tanti che non hanno fatto più ritorno alle proprie case.
A portare in scena il testo –passato alla storia come «uno dei libri più alti sull'inferno dei lager»- sarà la compagnia Attori del teatro Sociale, sotto la regia di Delia Cajelli. Per il tredicesimo anno consecutivo, dunque, tra le pareti della sala di piazza Plebiscito risuoneranno i celebri versi che Primo Levi scrisse in apertura di “Se questo è un uomo”, quale invito ai contemporanei e agli uomini di domani a mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto: «Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando a casa / Il cibo caldo e visi amici / Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì e per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare. Vuoti gli occhi e freddo il grembo. Come una rana d’inverno. […] Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa / andando per via, / Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli […]».
Lo spettacolo “Come una rana d’inverno” è destinato al pubblico adulto e alle famiglie; gli appuntamenti del mattino, che dato l’elevato numero di adesioni si terranno nella «sala grande» del teatro Sociale, sono riservati alle scuole di ogni ordine e grado. La favola C’era una volta il cattivo Adolf (Hitler)…, cui prenderanno parte oltre 350 alunni, è stata pensata per gli alunni delle scuole primarie; il recital Se questo è un uomo, che vedrà la partecipazione in qualità di spettatori di 300 giovani, è rivolto agli studenti delle medie inferiori e superiori. Tutti gli appuntamenti sono a ingresso libero e gratuito.

Didascalie delle immagini
Scene di alcuni spettacoli sulla Shoah prodotti dal teatro Sociale di Busto Arsizio tra il 2005 e il 2009. Foto: teatro Sociale di Busto Arsizio

Informazioni
Il teatro Sociale srl, piazza Plebiscito 1, 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331 679000, fax. 0331 637289, info@teatrosociale.it, www.teatrosociale.it

giovedì 8 gennaio 2009

Da Brescia a Passariano, nuova avventura per il curatore Marco Goldin

Un addio e un arrivederci nel nome dello stesso pittore. Marco Goldin, direttore della società Linea d’ombra libri e curatore di mostre-monstre dai budget stratosferici e dalle interminabili code agli ingressi, saluta la città di Brescia e il museo di Santa Giulia con l'antologica Zigaina. Opere scelte 1976-2006. E dà appuntamento ai suoi ammiratori nel piccolo centro di Passariano di Codroipo, nella provincia di Udine, dove il prossimo 21 marzo inaugurerà, proprio con una grande retrospettiva dedicata a Giuseppe Zigaina, la nuova gestione della cinquecentesca villa Manin, sede espositiva di proprietà della Regione Friuli Venezia Giulia, che fu scenario nel 1797 della firma del Trattato di Campoformio e che vide soggiornare tra le sue sale Napoleone Bonaparte e Giuseppina Beauharnais.
Dopo la quasi decennale avventura impressionista in quel di Treviso, che fece della Casa dei Carraresi la reggia italiana della pittura en plein air in terra di Francia, e il mai avviato rapporto di collaborazione con la città di Verona, distinto dal flop della mancata inaugurazione della mega-mostra alla Gran Guardia con i capolavori del Louvre, Marco Goldin sembra, infatti, aver collezionato un nuovo benservito. Nei giorni scorsi, durante la presentazione dei dati sulla rassegna bresciana Van Gogh. Disegni e dipinti. Capolavori dal Kröller-Müller Museum, visitabile ancora per un mese al museo di Santa Giulia, il critico veneto ha tenuto a precisare che «l’attuale amministrazione non ha mai risposto alle due lettere inviate nel mese di ottobre, in cui venivano formulate proposte di collaborazione». Un silenzio, quello della nuova giunta capitanata da Adriano Paroli, che non lascia presagire nulla di buono, anche perché il contratto che legava lo studioso trevigiano alla Loggia è ormai scaduto. E mentre nella «Leonessa d’Italia» circolano, ormai da questa estate, i nomi di Giorgio Cortenova e Vittorio Sgarbi come possibili coordinatori della nuova politica culturale della città lombarda, Marco Goldin ritorna nel suo nord-est grazie a un accordo biennale siglato tra Linea d’Ombra libri e l’Azienda speciale villa Manin.Quattro le mostre in programmazione, «finalizzate -si legge nella nota stampa- a riannodare un contatto diretto con il territorio, prevedendo due rassegne di artisti del Friuli Venezia Giulia e due di carattere internazionale, significativamente motivate dalla posizione ponte della regione con la Mitteleuropa e l'est Europa, stimolando la rivitalizzazione dei rapporti verso quell'ampia area». Si inizia appunto il 21 marzo con l'inaugurazione di un'ampia antologica dedicata a Giuseppe Zigaina, nel suo ottantacinquesimo anniversario dalla nascita. Una prestigiosa retrospettiva, quella di Passariano, grazie alla quale sarà possibile vedere, fino al 30 agosto, un cospicuo numero di lavori realizzati dall’artista friulano tra il 1942 e i giorni nostri. Si prosegue, quindi, con L'età di Corot e Monet. La diffusione del Realismo e dell'Impressionismo nell'Europa centrale e orientale (26 settembre 2009-7 marzo 2010), che raccoglie un centinaio di opere, provenienti da importanti musei americani ed europei, tese a raccontare la grande influenza che la pittura francese ebbe sulla pittura del centro ed est europeo, prima con gli esempi di Corot e Courbet e, poi, con quelli di Monet, Manet e compagni. Una mutazione nell'originalità pittorica, quella operata dalla scuola francese, che si ritrova in grandi maestri attivi sul territorio, da Levitan a Klever, da Chelmonsky a Merse, da Rohlfs a Calame, dal primo Hodler a Mauve, dal primo Ensor al primo Kandinsky e al primo Malevich, solo per fare alcuni nomi.
Il 2010 si aprirà, dunque, con un omaggio alla tradizione pittorica friuliana: la collettiva I Basaldella (27 marzo-29 agosto 2010), realizzata in occasione del centenario della nascita di Mirko Basaldella e a oltre vent'anni di distanza dall'esposizione che la Galleria d'arte moderna di Udine dedicò a lui ed ai suoi fratelli, Afro e Dino. Sarà, poi, la volta della grande mostra internazionale Da Böcklin a Klimt a Schiele. Dal Simbolismo alla Secessione tra Monaco e Vienna (25 settembre 2010-6 marzo 2011), che ripercorrerà, facendo ricorso a cento importanti dipinti provenienti da musei di tutto il continente, la stagione in cui la pittura della Mitteleuropa, tra il simbolismo di Von Stück e Böcklin da un lato e il gusto secessionista di Klimt e Schiele dall'altro, costituì una superba alternativa ai francesismi che popolavano tanti luoghi del Vecchio continente.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Marco Goldin a teatro; [fig. 2] Villa Manin a Passariano di Codroipo (Udine); [fig. 3] Museo di Santa Giulia a Brescia; [fig. 4] Giuseppe Zigaina, Girasoli n. 2, 2000, olio su tela, cm 140 x 130 (l’opera è esposta Brescia, nelle sale del museo di Santa Giulia).

Per saperne di più
www.lineadombra.it

Vedi anche
Marco Goldin e la sua Treviso impressionista
Marco Goldin e il flop di Verona